William Wordsworth

Ugo Gervasoni – Le voci dei maestri

William Wordsworth

Wordsworth

(1770 – 1850)

Il volto austero, spesso atteggiato a pose meditative o assorte, di William Wordsworth, non è di quelli che fanno nascere improvvise simpatie: assai più facilmente, forse, ci si sente disposti ad ascoltare le parole che escono dalle labbra, tumide e semiaperte nei ritratti che di lui abbiamo, che furono di Samuel Taylor Coleridge, i cui occhi vivi e candidamente spalancati sul mondo anche in età adulta invitano ad una fraterna comunione intellettuale. Pure Wordsworth, che con il passare degli anni divenne il monumento di se stesso, Poeta Laureato dell’Inghilterra, presenza ieratica più che creativa, fu in gioventù un fervente sostenitore delle aspirazioni libertarie che esplosero nei primi tempi della Rivoluzione francese: nel 1790, quando aveva vent’anni, intraprese un viaggio a piedi per la Francia, e tanto fu catturato dalla passione che investiva e trasformava persone e luoghi in quei mesi, che anche in anni posteriori, ripensando a quell’esperienza, si sentì sgorgare dal petto i versi seguenti:

Fu letizia essere vivi in quell’alba,

Ma paradiso fu d’essere giovani!

Tanta fu la forza dell’inebriante esperienza francese, in cui sembrò che l’età della Ragione cogliesse infine i suoi frutti e sapesse armonizzare le sue aspirazioni con gli slanci del Cuore, che il giovane poeta si innamorò di una giovane parigina ed ebbe con lei una figlia. Le vicende storiche, con la inevitabile guerra tra Francia e Inghilterra che si prolungò con l’ascesa al potere di Napoleone Buonaparte, divisero i due amanti: pur lontano, Wordsworth non si dimenticò mai di provvedere alle necessità materiali di madre e figlia.

Tornato in patria, Wordsworth formò l’amicizia con Coleridge, che fu la culla del volumetto Lyrical Ballads (Ballate liriche), pubblicato anonimo nel 1798: il libro non fu soltanto il frutto delle quotidiane conversazioni tra i due artisti sui temi e sulle forme poetiche che stavano loro a cuore; fu tra gli eventi fondamentali che fecero apparire in Inghilterra, e in Europa poi, il movimento romantico. I componimenti che aprono e chiudono la raccolta – The Rime of the Ancient Mariner (Il Canto dell’Antico Navicante) di Coleridge e Lines Composed a few Miles from Tintern Abbey (Versi Composti a Poche Miglia dall’Abbazia di Tintern) di Wordsworth – sono i capolavori che rivoluzionarono il modo di fare poesia del XIX secolo.

72863265 / Benjamin Robert Haydon Painting

Recuperando la propria fanciullezza, che fu vissuta e goduta nella bellezza paesaggistica del Distretto dei Laghi, una delle regioni più fascinose dell’Inghilterra, tra specchi d’acqua trasparente e boschi e colline e rocce e albe e tramonti di smagliante splendore, Wordsworth comprese e seppe comunicare, primo e ineguagliato cantore, l’importanza fondamentale che le esperienze dei nostri primi anni hanno per noi: non solamente affetti e intuizioni permettono al bambino di vedere e sentire il mondo quando è bambino; rivissuti in anni posteriori, quei momenti danno la possibilità, all’adulto, di intendere le forze sorgive della propria personalità senza deformarle con la patina dell’abitudine che i decenni depositano sulle cose; di capire, cioè, che quanto è stato sperimentato nell’età più tenera non è cancellato dalla crescita, ma perdura come presenza viva e insostituibile, rivivendo la quale l’adulto può comprendere la natura spesso elusiva della sua indole. I ricordi della fanciullezza resuscitati in età più avanzata, ci fanno capire che i momenti che furono fondamentali allora lo sono ancora: siamo, anche adesso, ciò che allora si muoveva in noi in maniera non conscia, quasi solo animale, e che ora, se prestiamo attenzione, scopriamo che ci visita negli istanti delle forti passioni, o nel mondo spesso sconvolgente dei sogni. Ciò che allora nasceva e si consumava nell’atto del sentire, ora diviene il punto di appoggio della comprensione intellettuale. Per questo Wordsworth poté scrivere il sorprendente vero, Il Fanciullo è padre dell’Uomo, che sotto la veste del paradosso logico apre invero la porta sull’impressionante ricchezza del mondo che è al di là dei confini della razionalità. La grande Ode intitolata Indizi di Immortalità da Ricordi della Fanciullezza, è una lunga meditazione su ciò che si perde e su ciò che, contemporaneamente, si guadagna nel difficile percorso della crescita, ed è una continua fonte di spunti di autoanalisi per chi cerca di comprendere la propria vicenda su questa terra, senza stancarsi. Ogni punto di arrivo che ci pare di avere raggiunto nel nostro sviluppo intellettivo, diventa nuovo punto di partenza quando riprendiamo la lettura di questi versi, perché l’arte non cessa di ispirare e di nutrire, di farci sentire il soffio vitale che passa tra le cose del mondo e che mai non si arresta. Come intuì il critico americano Lionel Trilling, l’Ode non si svolge tanto intorno al tema convenzionale dell’inevitabile e sconsolato passaggio degli anni, quanto intorno al processo dinamico della crescita, che racchiude in sé i due momenti, contrastanti e complementari insieme, della perdita e del guadagno: qualcosa matura nel tempo, ed è come una ricompensa per ciò che necessariamente è lasciato indietro e come obliato.

I due stadi dell’innocenza e dell’esperienza erano già stati cantati, nel suo modo peculiare, da William Blake: i due poeti non si amavano, ma noi possiamo giovarci delle due personalità ed avere a disposizione, per la nostra ricerca, due sollecitazioni diverse, per nulla curandoci di settarismi e di antipatie personali. La vita è varia e lunga, c’è posto per tanti momenti diversi di introspezione e di piacere estetico.

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