Fuochi d’artificio

Ugo Gervasoni – Le voci dei maestri

Fuochi d’artificio

(per ogni periodo dell’anno)

E’ tradizione, allorché l’anno solare volge al suo termine, salutare il nuovo inizio della rivoluzione terrestre intorno al pianeta / che mena dritto altrui per ogni calle (secondo le parole di Dante), facendo esplodere petardi e botti. Fracasso e luci così generati non paiono avere grande significato, tanto da fare pensare che quanto meno si ha da dire tanto più è lo strepito che si produce: nei giorni che seguono il capodanno tutti infatti tornano alle usate fatiche e la febbrile esaltazione del veglione è solo il ricordo di una spesa in più. Invito il lettore ad accendere i fuochi artificiali della mente, non tanto per salutare gli anni del calendario, quanto per riempire il proprio tempo della bella intensità che non è mai né vecchia né nuova.

GiuseppeRensi

Il primo lume ce lo dona Giuseppe Rensi (1871 – 1941), filosofo italiano che non si peritò di pagare con l’ostracismo e l’oblio la sua opposizione al regime di Mussolini. Ma la forza e lo splendore delle idee non possono essere soffocati dall’arroganza della politica. Nel suo bellissimo libro Lettere spirituali, uscito postumo nel 1943, Rensi espone il suo vibrante pensiero in forma di epistole inviate ad un’ipotetica reincarnazione di Lucilio, perché forse sia il giovane sia il venerando Seneca hanno ormai dimenticato l’antica corrispondenza. Il tu di queste lettere ritroverà, arcanamente, un fratello nel Gennariello delle Lettere luterane, il trattatello pedagogico che Pier Paolo Pasolini compose nel 1975. Ecco l’inizio della prima lettera:

Nobile e meritorio è il dolore che provi per non riuscire a liberarti come vorresti dalle tue passioni e ad elevarti alla perfezione morale. E’ un dolore che non vorrei toglierti del tutto, perché esso è fecondo di sforzi e di progresso. Però un piccolo conforto desidero di dartelo.

Tu non sei un uomo; sei l’uomo. Sei uno con tutti gli uomini del passato e del futuro. Sei un filo, una trama, una treccia, un nodo di quell’unica “corda tesa” nel tempo (per usare l’espressione nietzscheana) che è l’umanità; un momento di quel corso unico che questa è. Perciò puoi sostanzialmente appagarti pensando che le tue deficienze o i tuoi vizi, le tue lacune o i tuoi insuccessi, siano eliminati e riparati nell’uomo del futuro, cioè nell’Uomo, sviluppo unico e complessivo di cui sei una parcella e che andrà nel suo cammino (nel suo crescere) sempre migliorando e diventando più limpido e puro: perché eliminate e riparate quelle tue deficienze in questo processo, nell’Uomo, sarà tolto dall’Uomo di cui tu sei pur parte, che è tu, che è anche te, tutto il male che c’era in quest’uomo. (…)

Consòlati dunque delle tue imperfezioni attuali. Le macchie che sono su quella piccola sfera o momento o frammento dell’uomo, che sei tu, saranno più tardi lavate nell’Uomo. Se non nel tuo presente te, nel tuo te futuro, cioè nel corso dell’Uomo, nell’Uomo totale, che è anche te, esse saranno eliminate.

Piero_Martinetti

Il secondo bagliore viene da un aureo libello di Piero Martinetti (1872 – 1942), anch’egli pensatore che seppe versare nella vita l’onestà intellettuale che informava la sua mente: allontanato dall’insegnamento per il rifiuto di giurare fedeltà al fascismo, si dedicò agli amati studi in solitudine. Pietà verso gli animali raccoglie due conferenze che Martinetti lesse negli anni venti. In questi nostri tempi, nei quali ci viene ripetuto fino alla nausea che l’uomo è il centro indiscusso e il legittimo padrone del mondo, ogni altra creatura e risorsa essendo funzionale alle sue magnifiche sorti e progressive, così che tante specie animali sono prossime all’estinzione, è bene meditare quanto segue:

La conoscenza è unificazione: (…) Giova perciò sperare che, quando penetrerà in noi un più vero concetto della natura dell’animale e dei suoi rapporti con noi, esso aprirà anche al nostro occhio spirituale un regno dello spirito più vasto che il regno umano: allora gli uomini riconosceranno che vi è fra tutte le creature un rapporto ed un’obbligazione vicendevole ed estenderanno, senza sforzo, a tutti gli esseri viventi quei sensi di carità e di giustizia, che ora considerano come dovuti soltanto agli uomini.

eugenio-garin

Il terzo fuoco d’artificio intellettuale è acceso da Eugenio Garin (1909 – 2004), prestigiosa figura di storico del pensiero e di docente, che svolse il suo magistero alla Scuola Normale Superiore di Pisa. Nella suggestiva Intervista sull’intellettuale (1997), dopo avere dato una folgorante definizione del ruolo di chi coltiva il pensiero, il compito dell’intellettuale è molto grave: non dare niente per scontato, così rispose alla domanda, Qual è il primo dovere dell’insegnante?

Non tradire mai – scusi il linguaggio retorico – quello che deve essere lo spirito animatore di ogni cultura: il suo valore umano, liberatorio, al di là di ogni specialismo e di ogni tecnicismo, di ogni interesse di utilità immediata: la cultura come conquista di una più profonda coscienza di sé, delle proprie radici, delle dimensioni storiche in cui si è chiamati a operare. Cultura e vita morale, per riprendere l’espressione crociana.

In merito alla mediocrità imperante, causata dall’invadenza dei mezzi di comunicazione di massa, osservò acutamente, senza stracciarsi le vesti:

Comunque, prendersela con il mezzo è sbagliato. Bisogna preoccuparsi di chi lo controlla e di quali messaggi fa passare. La strada non è quella di mandare in tivù Norberto Bobbio. o Emanuele Severino, a fare un ‘sermone’ dotto e ricco di buoni princìpi. Anche perché non capisco l’andazzo di trasformare l’uomo di pensiero in attore. Ci sono intellettuali di altissimo livello che non sanno parlare in pubblico, s’imbarazzano davanti alla telecamera, non rendono dal punto di vista spettacolare, non fanno immagine: e tutto ciò viene considerata una colpa, o comunque una diminutio. E perché mai? Non so com’era Einstein quando parlava in pubblico, e se sapeva volgarizzare la relatività generale. Confesso che neppure mi importa. Resta un grande scienziato al di là delle sue capacità di comunicazione. Il problema non è di arruolare drappelli di pensatori e mandarli in video. Ma quello, più semplice, di fare programmi, un compito cui la televisione ha abdicato, suscitando negli italiani il dubbio che, oltre a Pippo Baudo, al calcio, ai telefilm violenti e agli show di terz’ordine, non possa esistere altro.

(…)

Perciò mi permetto di insistere ossessivamente sulla scuola: il luogo dove si elaborano le idee e si immettono nella società. Lo ripeto: la disfatta del ceto intellettuale è sul terreno dell’educazione, nelle scuole. Lì è la nostra colpa. Lì chi ha provato a battersi per la cultura è stato sconfitto dalla cattiva politica.

Alla nostra salute!

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