Lewis Carroll

Ugo Gervasoni – Le voci dei maestri

Lewis Carroll

LewisCarroll

(1832 – 1898)

Il reverendo Charles Lutwidge Dodgson, divenuto col passare degli anni e forse controvoglia famoso sotto lo pseudonimo di Lewis Carroll, costituisce un illustre esempio della sorprendente varietà della società vittoriana. Lo stereotipo, di cui è sempre bene diffidare, ripete che gli anni del regno di Vittoria furono prosaicamente e monoliticamente legati ad uno stile di vita di ineccepibile compostezza e di rigoroso conformismo, tutto dedito alla cura dei fatti e degli interessi borghesi piuttosto che delle idee, soprattutto se eversive: Charles Dickens ne diede un ritratto caricaturale e spietato e immortale nel personaggio di Mr. Podsnap, nel suo romanzo capolavoro Il nostro comune amico. Ma nel periodo vittoriano il grande scienziato Charles Darwin osò mettere in dubbio il significato letterale della Bibbia; nel periodo vittoriano visse ed operò (e sofferse il martirio) Oscar Wilde, insuperato genio della sfida e della provocazione; il suo maestro, Walter Pater, autore del notevole romanzo Mario l’epicureo, ispirò molto del movimento estetizzante inglese; nel periodo vittoriano fiorirono gli artisti legati alla confraternita, pre-raffaellita: tutti costoro poco o nulla avevano in comune con l’ideologia imperante.

In quel mondo aveva anche fatto la sua timida comparsa la figura introversa e riservata di Charles Lutwidge Dodgson, che studiò al Christ Church College di Oxford, dove poi passò la sua vita operosa e schiva in qualità di lettore di matematica. Prese gli ordini di diaconato, ma una ostinata, imbarazzante, incurabile balbuzie gli sconsigliò la carriera sacerdotale.

Charles Lutwidge amava trascorrere il suo tempo libero con le figlie del Dott. Liddell, il rettore di Christ Church, in particolare con la piccola Ellis. Nel corso di una gita in barca in un placido pomeriggio estivo pieno di sole, nacque il suo capolavoro dedicato alla fanciulla Alice nel paese delle meraviglie; fu poi seguito da Oltre lo specchio, in cui l’eroina protagonista, ancora Alice, percorre la sua avventura tra le contrade sorprendenti dove il non-senso ha il sopravvento sul senso, e il linguaggio acquista spessore e profondità bizzarri, imprevisti, stupendamente ricchi. Alice insegue il Coniglio Bianco che sa fare risuonare, anche per il lettore, lo stupore infantile, ovvero la forza primaria e indispensabile che spinge l’essere umano alla conoscenza. Alice incontra e dialoga, sconcertata dal significato imprevisto che le sue parole acquistano, con il Brucaliffo, con lo Stregatto, con il Cappellaio Matto e la Lepre Bisestile, con la terribile Regina di Cuori che si diletta ad ordinare decapitazioni, e poi ancora con i gemelli un poco inquietanti Tweeddledum Tweeddledee, con il Tricheco e le sue ostriche, con Humpty Dumpty, con il Cavaliere Bianco, probabile trasfigurazione nostalgica e affettuosa dell’ autore stesso. Così comincia quella storia immortale:

Alice cominciava ad essere stanca di stare seduta presso la sorella sulla riva del fiume, e di non avere nulla da fare: una o due volte aveva lanciato occhiate furtive nel libro che la sorella leggeva, ma non c’erano illustrazioni ne dialoghi,”e a cosa serve un libro” pensò Alice, “senza illustrazioni e dialoghi?”

alice beginning

(Autografo di Lewis Carroll)

Mentre la lettura prosegue ci si accorge che quel mondo strampalato è in realtà sorretto da una logica ferrea, della stessa natura di quella che pare sostenere il nostro, solo che tutti i punti saldi e consueti del nostro vivere quotidiano sono qui distorti o rovesciati. Ogni situazione del libro mette alla prova, in modi che non sono mai ripetitivi, la base razionale delle circostanze consimili cui noi abbiamo fatto l’abitudine, cullati dal sereno fluire delle ore e dei mesi e degli anni che ci sono destinati; tra un sorriso e una riflessione più seria ci chiediamo dove poggino, invero, le fondamenta della nostra vita, e siamo colti da un senso non sgradevole di vertigine intellettuale.

Opera, nei libri di Carroll, la consequenzialità logica del non-senso, che non è assenza di senso, ma alternativa al senso comune: cambiate le premesse, come mi pare accada nelle matematiche non euclidee, una nuova visione e interpretazione delle cose nasce e si regge sui suoi teoremi novelli. Non è un caso che la migliore edizione dei libri di Alice in lingua inglese sia stata commentata da Martin Gardner, che curò per anni una rubrica matematica sulla prestigiosa rivista statunitense Scientific American.

Il non-senso affascinava Lewis Carroll perché, senza rovinare la dimensione fiabesca e onirica tanto cara ai bambini, apriva porte insospettate alla comprensione o all’incomprensione, facendo nascere, insieme con il sorriso, il pensiero critico, creativo, potenzialmente inquietante: le atmosfere dei romanzi e dei racconti di Franz Kafka non sembrano così ingiustificabili dopo la lettura dei libri di Lewis Carroll. Né la lezione di Lewis Carroll passò inosservata ai drammaturghi che diedero vita, nella seconda metà del secolo ventesimo, al cosiddetto “teatro dell’assurdo”, da Eugene Ionesco a Samuel Beckett.

Così lo scrittore raccontò come gli venne l’idea dell’altra sua opera notevole e spassosissima, il poemetto intitolato La caccia allo Snark:

Camminavo per il pendio di una collina, solo, in un giorno estivo di sole, quando d’improvviso mi sorse nella mente un verso – uno solo – “ché lo Snark era un Boojum, sapete.” Non sapevo che cosa significasse allora: neppure ora lo so; ma lo trascrissi: e qualche tempo dopo mi venne anche il resto della strofa, poiché quello era l’ultimo verso: e a poco a poco, nei momenti più inaspettati dei due anni seguenti, si formò il resto del poemetto, perché quella era proprio l’ultima strofa.

Gli anni dell’infanzia sono dilettati dalle avventure di Alice. Ancora le hanno care le persone adulte che non hanno smarrito, o ripudiato, lo sguardo che la meraviglia getta sulle cose, creatore di fiabe e di magia, pur avendo lasciato l’infanzia molto, molto indietro.

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Le sorelle Liddell, fotografate da Lewis Carroll

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