Robert Louis Stevenson

Ugo Gervasoni – Le voci dei maestri

Robert Louis Stevenson

Robert Louis Stevenson | British author | Britannica
(1850 – 1894)

Il 13 novembre 1850 nacque ad Edimburgo, in Scozia, Robert Louis Stevenson. Originariamente avviato dal padre agli studi di ingegneria, al fine di continuarne l’attività familiare di progettista e costruttore di fari costieri, divenne invece uno dei narratori più maliosi della seconda metà del XIX secolo, in anni che non furono privi di romanzieri di primissima grandezza. Gracile e malaticcio, crebbe in un ambiente protettivo, nutrito dalle fiabe che ruotavano intorno alle avventure di briganti e di spettri, raccontate dagli adulti che si alternavano al capezzale del suo letto. Queste finzioni, spesso inquietanti, erano segnate anche da un austero, cupo fondo calvinista, retaggio religioso della famiglia, così che la concezione dl mondo in cui si formò il bimbo era quella di un’umanità divisa in due campi antagonisti: quello dei totalmente buoni e quello dei totalmente malvagi. Nessuna sfumatura: o si era destinati al Paradiso, dopo avere cantato inni tutta la vita; o si era necessariamente avviati sulla via della dannazione.

Nonostante la salute cagionevole, Stevenson, dopo la breve, inevitabile parentesi degli studi di ingegneria, si iscrisse ai corsi di giurisprudenza dell’Università di Edimburgo, anche se, dopo la laurea, indossò toga e parrucca solo “per allegria”, come confessò. Mentre era studente imparò a conoscere la sua città natale percorrendone le strade, frequentò anche i luoghi meno rispettabili, ascoltò le storie che gli avventori si raccontavano nelle taverne, addestrò l’occhio a cogliere il dettaglio distintivo delle persone, e l’orecchio a riconoscerne l’accento particolare. Si sentì attratto dalla nascente scienza psicologica, oltre che dalle scoperte di Charles Darwin: Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde (1886) è il frutto più compiuto del fascino esercitato su di lui dalla personalità che si sdoppia. Amò i viaggi, e le sue avventure per il mondo furono registrate in libri-resoconto di godibile lettura, come Viaggi con un asino nelle Cévennes (1879), che ricrea le peripezie del giovane scrittore, in compagnia dell’asina che battezzò con il nome di Modestine, nella regione della Francia meridionale abitata dai discendenti degli ugonotti (i camisards) che guerreggiarono a lungo contro la repressione religiosa che seguì alla revoca dell’editto di Nantes, voluta da Luigi XIV. Le Chemin Stevenson, che si snoda per circa 200 chilometri da Le Monastier ad Alès, è tuttora un elemento di richiamo non indifferente per le Cévennes: si possono affittare i muli, e pernottare negli alloggi dove si fermò l’autore, che fu forse il primo a dire: “Io viaggio non per andare da qualche parte, ma per andare. Viaggio per viaggiare.” Innamoratosi di una divorzianda americana, Stevenson la seguì nel Nuovo Mondo, la sposò nel 1880 e passò la luna di miele in un campo minerario abbandonato, sui monti a nord di San Francisco, tenendo un diario che si trasformò nel romanzo Gli occupanti di Silverado (1883). Ritornato in Europa conobbe il successo, con L’isola del tesoro (1883), Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde, sopra ricordato, La freccia nera (1888), Il signore di Ballantrae (1889), e l’agiatezza, che gli permise di fare nuovi viaggi per trovare un clima che desse sollievo alla tubercolosi che lo minava. Si stabilì infine a Samoa, acquistando un terreno nella località di Vailina, ove costruì una casa confortevole. Morì improvvisamente, di emorragia cerebrale, il 3 dicembre 1894, lasciando incompiuto l’ultimo romanzo, La diga di Hermiston.

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L’isola del tesoro è un racconto che lega il fascino del viaggio nei luoghi esotici al candore della voce narrante, che appartiene a Jim Hawkins, ragazzo di dodici anni che vive l’avventura che tutti vorrebbero avere avuto in sorte nel momento magico, e irripetibile, del passaggio dall’età della fanciullezza a quella della pubertà e della conoscenza del mondo adulto. E’ il periodo dell’incanto, delle scoperte, dei sogni, delle nostalgie, degli affetti, degli squilibri anche, quando gli occhi ancora si spalancano per lo stupore, le impressioni hanno la vivacità e l’aura della “prima volta”, la condizione umana è caratterizzata dalla fiducia essenziale nel prossimo, e gradualmente impara ad armarsi del suo opposto, la diffidenza, a causa della scoperta della malizia insita nei propri simili. Il racconto ebbe origine allorché, in un giorno del piovoso agosto 1881, Stevenson disegnò la mappa di un’isola per intrattenere il tredicenne figlio di Fanny, la donna che aveva sposato. Aveva temporaneamente preso dimora a Braemer, in Scozia, in una casa lugubremente nota come “la villa della scomparsa Miss McGregor”. In breve, quell’isola schizzata su un foglio si popolò di presenze sempre più vive, che si incarnarono in pirati e in una appassionante caccia ad un tesoro nascosto. Probabilmente, nel dare contorni definiti a quel luogo da mari del sud, che ancora non aveva visitato, Stevenson ricordò i paesaggi della California centrale, intorno a Monterey, dove aveva risieduto per alcune settimane prima di unirsi a Fanny, nel 1879. Fino a pochi decenni or sono era visitabile la capanna di legno dove lo scrittore abitò, sulle colline all’interno, non lontano da Point Lobos, che ora è un parco nazionale dalla lussureggiante vegetazione.

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Jim non è soltanto la voce narrante, è anche il personaggio che determina l’esito del viaggio e il successo della sua parte, composta dal signor Trelawney, dal dottor Livesey, dal capitano Smollett e dai marinai rimasti fedeli della nave Hispaniola, contro il gruppo dei bucanieri sopravvissuti al capitano Flint, comandati da Long John Silver. Il male non vince, nel romanzo, non tanto perché le misure predisposte dagli adulti vengono eseguite alla lettera, ma perché Jim, seguendo il suo istinto, fa ciò che non dovrebbe fare, aprendo possibilità che coloro che sono giunti all’età compiuta non possono e non sanno prevedere. Tranne pochi capitoli, che per ragioni strutturali sono narrati dal dottor Livesey, il lettore segue la vicenda attraverso gli occhi di Jim, che impara a conoscere le peculiarità del mondo dei grandi, dalla nobile stolidità del signor Trelawney, alla pratica saggezza del dottor Livesey, all’austera fermezza del capitano Smollett, alla diabolica doppiezza del pirata Israel Hands, alla rozza tracotanza di Billy Bones, alla patetica solitudine di Benn Gunn. Il personaggio più ricco di fascino narrativo è Long John Silver, il cuoco di bordo che nasconde, sotto la gioviale bonomia, la spietata malizia di chi fu capo timoniere del capitano Flint. E’ il trionfo dell’agilità del movimento fisico, nonostante una sola gamba gli sia rimasta dopo una battaglia navale, e si muova appoggiato ad una gruccia, accompagnato dal pappagallo che strilla “Pezzi da otto! Pezzi da otto!”; e dell’effervescenza del movimento intellettuale, che gli permette di comprendere all’istante quale sia la migliore strategia da adottare per trovare una via di scampo. Salta veloce da una situazione all’altra, superando di slancio avversità e pericoli, senza perdere mai la fiducia in se stesso, fino al congedo finale, in cui pare di avvertire il suo riso beffardo mentre la sua figura si dilegua al ritmo del ritornello che è risuonato per tutto il lungo racconto, “Quindici uomini sulla cassa del morto / Yo-ho-ho, e una bottiglia di rum!”

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