Ugo Gervasoni – Le voci dei maestri
Felicità
(Vagabondaggio in prosa)
H. sta sperimentando in questo momento una arcana felicità: avverte e gode, cioè, lo stato di gioia che scorre, proprio come una bella corrente d’aria o di acqua, per le sue membra e detta le sue risposte fisiche e psichiche. Allo stesso tempo è conscio di provare questa condizione di beatitudine tutta terrena. Gli sta accadendo quello che non è insolito succedere nei sogni, allorché una intensa sensazione di gioia, o di paura, o di fervore non bene identificato, si impossessa della figura che vediamo muoversi ed agire proprio come ci muoveremmo ed agiremmo noi in circostanze consimili, tanto che non fatichiamo a riconoscere le nostre fattezze, accettiamo addirittura che quella persona risponda se chiamata con il nostro nome. In qualche modo, però, sappiamo, in seguito ad una conoscenza che è anteriore al/indipendente dal pensiero, che quella presenza non è proprio noi stessi, è piuttosto una proiezione di qualche recondito desiderio o timore che si nasconde da qualche parte nella nostra psiche, prima o poi ci sveglieremo e l’evocazione di queste atmosfere ci conforterà o sarà motivo di considerazioni anche perplesse.
H. infatti sta sognando, e il suo sogno appartiene a quella categoria dell’attività onirica alla quale la consapevolezza che le immagini sono, invero, un sogno, non è estranea. H., disteso sotto la calda coperta, sogna di sognare, ha coscienza non verbale che il suo corpo è in quiete e respira con tranquilla regolarità, pur seguendo le azioni di un simulacro etereo che attira la sua attenzione, perché in tutto è simile a lui. Le sue labbra formano un sorriso, innegabilmente. Il sorriso è dovuto, in parte, all’inconsueta sensazione di essere non solo duplicato, ma addirittura di vedersi galleggiare in uno spazio-tempo che è in contraddizione con l’esperienza usuale. Ma i sogni sono tali proprio perché danno sostanza a ciò che non pare verosimile. E ciò è bene e bello.
Le stanze ove H. si sta aggirando senza fretta sono silenziose e quasi sgombre di oggetti: in ognuna vi è una semplice scrivania di classico disegno cui è accostata una sedia che appare molto comoda, le pareti sono nascoste da robusti scaffali di legno chiaro colmi di libri, su molte mensole vi è già un inizio di doppia fila o di piccole pile di volumi riposti orizzontalmente, sopra quelli bene ordinati o sul ripiano. Non pare esservi traccia di polvere. Un’apertura su un lato della stanza, senza porta, dà su un altro vano di aspetto simile. La forma delle sale è generalmente esagonale, come nella Biblioteca di Babele immaginata da Jorge Luis Borges, ma la struttura è elastica e, proprio come suole avvenire nei sogni, lo stesso ambiente assume anche le fattezze di un quadrato, senza generare sconcerto. La luce, che proviene dal soffitto da qualche sorgente nascosta alla vista, è calda e riposante, perfetta per la lettura. Sono stati realizzati, ogni certo numero di sale, piccoli locali di disimpegno, provvisti di servizi igienici (che pensiero cortese, pensa H.). Se c’è un centro vuoto intorno al quale gli ambienti sono disposti, sul quale sia possibile affacciarsi per spingere lo sguardo in su e in giù, come nel Mondo Biblioteca di Borges, ancora non è dato sapere. Una leggera brezza che spira tra le stanze e rende l’aria sempre nuova, invita H. ad ipotizzare l’esistenza di questa soluzione architettonica. Per raggiungere le zone in alto delle scaffalature, una bella scala dello stesso materiale della libreria porta ad un ballatoio che corre lungo le mensole, a tre quarti circa dell’altezza del manufatto. Sui gradini è bello sedersi dopo avere scelto un libro, e consultarlo lì, senza scendere verso lo scrittoio.
(Jorge Luis Borges)
H. è ora contemporaneamente sul pavimento e sul ballatoio, come è possibile che accada in un sogno ( è anche nel letto, ma quest’ultima dimensione è piuttosto fuori che dentro il sogno). Si osserva mentre sfoglia un grosso tomo: è il capolavoro di Arthur Schopenhauer, Die Welt als Wille und Vorstellung, che si sforza, sia pure con lentezza, di compulsare nella lingua originale. Mentre H., seduto su un gradino, legge, H. al centro della stanza considera i vantaggi che questa biblioteca sembra offrire rispetto a quella di Borges: là, pagine riempite di segni casuali, nel loro infinito numero di combinazioni, che raramente, al pari della vita, offrono intelligibili frammenti di significazione; qui i libri sono proprio quelli che hanno reso più intense le ore delle giornate di H. che dorme, sorridendo, nel suo letto. Ci sono tutti i suoi autori amati, anche quelli che non ha ancora scoperto lo attendono più avanti su qualche ripiano di questa fantastica biblioteca: ulteriore motivo di felicità, per il sognatore, essendo questo tipo di attesa sicura promessa di gioia. H., al centro della stanza, considera ora che è solo in questi ambienti: sa, infatti, che H. sulla scala è una proiezione di se stesso, una onirica probabilità. Prova a spiegarsi la situazione: il mondo è la nostra biblioteca, la serie delle conoscenze che ci permette di relazionarci con l’esterno, la biblioteca è dunque come la casa, individuale e limitata. Ma è aperta alle visite, come la nostra abitazione, tanto più gradite quanto più dettate da affinità di sentire e di comunicare. H. sa che tra poco incontrerà la dolce B., di cui mentalmente ha già avvertito l’agile passo discreto: i fattori che determinano il senso di felicità paiono moltiplicarsi.
H., in basso, sa cosa sta leggendo H. in alto, sono le considerazioni di Schopenhauer sulla parentela tra il mondo della veglia e quello del sogno, dal capitolo 5 del Libro 1: Das Leben und die Träume sind Blätter eines und des nämlichen Buches (La vita e i sogni sono pagine di uno stesso, identico libro). H. si lascia trasportare dalla forza maliosa di questa frase: gli sta suggerendo, tra l’altro, che la felicità che ora lo investe, potrà essere goduta anche dopo il risveglio, non soltanto in forma di ricordo, ma come nutrimento nel succedersi delle cose della vita. La passione della ricerca, che nel sogno spinge H. da una sala all’altra, potrà guidarlo da un incontro all’altro dopo che il sole avrà sciolto il tessuto del sogno, in un clima di attesa serena e di fiducia. La felicità che nasce dall’incontro della nostra mente con i cervelli straordinari che ci parlano dalle pagine delle loro opere, superando le distanze dei secoli, potrà essere provata anche nei rapporti con gli uomini e gli animali e le piante che riempiono la terra e l’aria. Non è un dono da disprezzare.
Il sorriso di H. addormentato è il sorriso di chi ora sa che non ripercorrerà i momenti di questo sogno con nostalgia e rimpianto, perché esso è anche parte integrante della sua veglia. H., tra poco, incontrerà B. in qualche intima stanza di questa biblioteca di sogno, e non avrà bisogno di spiegarle quanto ha pensato: B., molto probabilmente, sta raggiungendolo per condividere stati d’animo consimili. Anche questo accade con relativa facilità nei sogni.
Le parole adatte cercherà di trovarle H. al risveglio, quando farà partecipe B. della felicità che è possibile quando si è in grado di trovare la via che permette di uscire dalla selva oscura, verso le lande di più elevata posizione,
vestite già de’ raggi del pianeta
che mena dritto altrui per ogni calle.