J. R. R. Tolkien

Ugo Gervasoni – Le voci dei maestri

J.R.R. Tolkien

Tolkien non è una prima scelta – Il Nido del Corvo
(1892-1973)

John Ronald Reuel Tolkien nacque a Bloemfontein, in Sudafrica, ma fu condotto dalla famiglia in Inghilterra all’età di quattro anni e fu colà educato. Ottenne il primo livello di laurea (B. A.) ad Oxford nel 1913; completò la sua carriera universitaria, conseguendo il Master of Arts nel 1919, sempre ad Oxford, dopo avere prestato il doveroso servizio nell’esercito durante gli anni della prima guerra mondiale. Fu docente dell’università di Oxford dal 1925 al 1959, prima insegnando lingua e letteratura anglosassone, poi lingua e letteratura inglese. Pubblicò i lavori scientifici che sono usuali per ogni accademico, nel suo caso, traduzioni di antichi testi e saggi critici e interpretativi. Il suo impatto sul mondo, però, è dovuto ai suoi libri di fantasia, non di erudizione. A J. R.R. Tolkien si devono The Hobbit (1937) e la trilogia dal titolo The Lord of the Rings, uscita tra il 1954 e il 1955 in tre tomi ponderosi: The Fellowship of the Ring, The Two Towers e The Return of the King.

Se il desiderio di ascoltare una storia, o tante storie, o la Storia, è la caratteristica ineludibile del bipede che suole essere chiamato umano, i libri di Tolkien non solo la soddisfano, la ricreano ogni volta che un capitolo della saga giunge alla sua fine: chi ha appena ascoltato le avventure di Bilbo o di Frodo Baggins, o di Thorin Oakenshield (Scudodiquercia), o di Strider (Granpasso), di Beorn, l’uomo-orso, vuole sentirla ancora, desidera che l’incanto che la parola ha suscitato nel suo animo, la magia da cui è stato avvolto, si ripeta senza fine. Le storie di J.R.R. Tolkien, come quelle di Omero che cantò di Achille, di Odisseo, e degli eroi che hanno accompagnato il cammino dell’umanità nel corso dei secoli, non conoscono un punto finale che non sia, allo stesso tempo, anche un nuovo punto di partenza. E’ il meccanismo narrativo che regge il monumento letterario delle Mille e una notte, la meravigliosa raccolta nella quale la soluzione di un racconto è il pretesto per l’inizio di quello successivo. Quando Shahrazàd smise la prima narrazione consentitale dal sultano, al sopraggiungere del mattino,la sorella le disse: “- Quant’è bello, piacevole e dolce il tuo narrare! Al che rispose Shahrazàd: – Questo è ben poco rispetto a quello che vi racconterò la notte prossima, se sarò in vita e se il re mi ci farà restare.” Ha così inizio la serie delle mille e una notte, durante le quali il sultano dimentica la sua ira contro le donne, impara ad amare la dolcissima potenza del raccontare, e invece di dare la morte riceve in dono una nuova vita. Anche la mitologia indiana conosce la magia delle storie circolari, chiamate pāriplava; ci ricorda Roberto Calasso nel suo libro dal titolo Ka, che “erano storie degli antichi re, storie esemplari che il nuovo re-sacrificante avrebbe rinnovato. Erano storie cicliche, che continuamente ricominciavano, per un anno intero.”

Il Signore degli Anelli: le origini dell'ispirazione di Tolkien
Le storie di Tolkien piacciono ai bimbi, che plasmano nelle loro menti vergini i vari personaggi di cui ascoltano le peripezie e i luoghi in cui si svolgono, prendendo parte alle avventure che si susseguono incalzanti, imparando a conoscere il brivido dell’attesa ansiosa, la paura dell’incognito, il sollievo della risoluzione di tante situazioni pericolose. La mente adulta apprezza la fertile leggerezza dell’immaginazione narrativa, la precisione architettonica dell’intreccio, il rivelarsi di un mondo parallelo, convincente e malioso, rispetto a quello conosciuto e frequentato giorno dopo giorno. Sia i giovani che i meno giovani sono chiamati a riflettere, ognuno a proprio modo, sulla condizione che è più antica della storia, cioè il conflitto essenziale e inevitabile tra le forze del Bene e quelle del Male. L’obiezione che una fiaba non sia altro che una forma di fuga dalla realtà, viene così refutata sul nascere, perché uscire dalla prigione della ripetitività e di ciò che è artificiale (quale è, purtroppo, la vita in pubblico, caratterizzata da tante infrangibili catene,che somigliano a quelle che immobilizzano gli uomini seduti nella mitica caverna di Platone), non è una diserzione ma una educazione, degna di chi di sé vuole fare campo di conoscenza.

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The Hobbit inizia con una frase memorabile: “In a hole in the ground there lived a hobbit” (“In una cavità nel terreno viveva uno hobbit”). Subito l’autore spiega al curioso lettore cosa sono gli hobbit: creature di bassa statura, circa la metà degli umani, più minuti dei nani, silenziosi e precisi in ogni loro abitudine, con la tendenza alla rotondità intorno ai fianchi; i loro piedi hanno la pianta dura come il cuoio e sono coperti di un vello spesso come quello che hanno in testa; sono amanti della quiete e dell’ordine. Nessuno si aspetterebbe di trovarli coinvolti in un’impresa lunga e traboccante di ostacoli e di sorprese, eppure l’eroe (controvoglia) di questo racconto, Bilbo Baggins, si incammina sulla strada che conduce nelle terre selvagge in compagnia di tredici nani, guidati dal loro re Thorin Oakenshield, e del mago Gandalf, tutti diretti verso la lontana e minacciosa Montagna Solitaria, nel cui centro vive da anni Smaug il Terribile, il drago che ha distrutto l’antico regno dei nani e ha preso possesso del favoloso tesoro che essi avevano accumulato. Prima di giungere fino a quel monte inquietante, però,i nostri viandanti devono superare situazioni di crescente difficoltà, talune addirittura disperate: agguati di Uomini Neri, di Orchi, di Lupi Selvaggi, di giganteschi ragni, cercando allo stesso tempo di rendersi amici personaggi potenzialmente pericolosi come l’affascinante Beorn, il Mutatore di pelle, o gli elfi dei boschi, o le grandi aquile. Tra i protagonisti di più felice invenzione è Gollum, la creatura a metà tra la natura umana, caratterizzata da infernale malizia, e quella fredda dei rettili. Gollum appartiene alle forze del Male, ma ispira nel lettore, o nell’ascoltatore, un interesse venato di simpatia. Da anni riversa tutto il suo geloso affetto su un anello magico che costituisce il suo unico tesoro: parla con il gioiello, lo apostrofa come “my precious”, non potrebbe concepire la vita senza quel talismano. Accade però che, strisciando al buio verso il fondo della montagna, Bilbo, dopo essere sfuggito agli Orchi e prima di giungere al lago al centro del quale è l’isolotto dove abita Gollum, lo rinvenga mentre tasta il terreno e se lo metta distrattamente in tasca. Al termine della gara di indovinelli con Gollum, la cui posta è la vita, Bilbo, essendo il suo turno di porre il proprio quesito, ormai a corto di idee, mette la mano in tasca e si chiede a mezza voce, “Cosa ho in tasca?” Questa semplice domanda, apparentemente innocente, apre una nuova via al racconto, così ricca di conseguenze che questo momento è il lontano inizio della futura trilogia dell’Anello, sopra ricordata.

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Se le pagine di Tolkien riaccendono, per gli adulti, l’incanto che fu tipico della prima età,quando lo stupore infantile era il motore delle scoperte e della comprensione del mondo, per i più giovani rappresentano l’apertura alla vita fuori del nucleo protettivo familiare, primo passo del percorso esistenziale che si sporge oltre il confine originario.

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Biblioteca, biblioteche

Ugo Gervasoni – Le voci dei maestri

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Biblioteca, biblioteche

Biblioteca è un termine a cui si legano più significati. E’, primariamente, il luogo vagamente austero destinato alla conservazione e alla consultazione di libri: in questo caso è una istituzione pubblica o privata, caratterizzata da regole, personale addetto, orari di apertura al pubblico, risorse finanziarie opportunamente stanziate: viene da pensare alla leggendaria Biblioteca di Alessandria, rinata nei nostri tempi; alla Marciana, alla Vaticana, alla biblioteca Joanina di Coimbra, a quella del Trinity College di Dublino, e a tante altre ancora. Il secondo significato del vocabolo denota la collezione di volumi che si ha in casa, ed il mobile che la ospita. In una terza accezione, si fa riferimento soprattutto alle conoscenze e alle competenze che la quantità di volumi frequentati ha consentito di accumulare in tanti anni di studio o di lavoro o di svago: non è insolito dire scherzosamente di qualcuno, che “è una biblioteca ambulante”. La biblioteca, potremmo dire, è quindi anche una costruzione mentale dai confini difficilmente delineabili, oltre che un manufatto e una istituzione. In ogni caso, il nome evoca ore di silenziosa operosità, durante le quali viene coltivata la parte più nobile della nostra umanità. Per alcuni di noi la biblioteca, in qualunque accezione sia considerata, si identifica con molti dei momenti più belli della nostra vita, addirittura senza di essa sarebbe difficile immaginare un tempo davvero nostro e prezioso. Avvicinarsi ad uno scaffale, accarezzare con gli occhi o con le mani i dorsi dei volumi ben disposti l’uno accanto all’altro, rimuoverne uno, aprirlo e leggerlo, al tempo stesso avvertendo il gradevole profumo di carta e di inchiostro e di rilegatura: queste semplici operazioni non solo hanno nutrito tante giornate, hanno soprattutto aperto orizzonti, risposto a domande di non indifferente tenore, forse anche hanno placato ansie e hanno fatto dimenticare l’inflessibile tirannia del tempo.

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Mario Vargas Llosa, di cui si è già parlato in questa rubrica, ha dedicato un libretto, intitolato Elogio de la educación, all’importanza che i libri hanno, o possono avere, nel processo di miglioramento della persona e della comunità. Uno dei capitoli del volume ha per titolo “Elogio de las bibliotecas”. Tra le osservazioni di Vargas Llosa in questo intervento, mi è parsa degna di nota la seguente: En una biblioteca el tiempo no transcurre como transcurre fuera de ella. En la realidad en la que vivimos, el presente aniquila el pasado y el futuro aniquila el presente, en tanto que en una biblioteca, gracias a los libros y documentos que en ella habitan, el tiempo es una materia que circula y en la que el pasado, el presente y el futuro coexisten. Lascio la citazione nella lingua originale, perché non credo che offra difficoltà insormontabili. Nel caso contrario, basta recarsi nella più vicina biblioteca, consultare un dizionario spagnolo-italiano e, avendo sciolto le eventuali oscurità, sentirsi colmare da un piacevole senso di gratificazione personale. Poco più avanti, il romanziere premio Nobel 2010 commenta l’importanza della biblioteca nel nostro tempo, ricordandoci che la vita, per la maggioranza degli uomini e delle donne della nostra epoca, è diventata incredibilmente ripetitiva. Trascorre su binari dai quali pare sempre più difficile allontanarsi. La noia e la mancanza di incentivi crescono. Basta però entrare in una biblioteca e le abitudini si dimenticano, insieme con gli orari e le scadenze da rispettare, e le ore si convertono in avventura e in appassionante arricchimento. E’ solo il caso di rilevare che l’uscita da questa gabbia mortificante non è fuga dalla realtà, ma abbandono di una condizione falsa verso la scoperta di una sfera umana più intensa e più luminosa. Allora comprendiamo che anche in noi sono presenti le bizzarrie di don Chisciotte, i sogni ad occhi aperti di Madame Bovary, l’ossessione del Capitano Achab, la grettezza spirituale di don Abbondio e la magnanimità gloriosa del Cardinal Federigo Borromeo. C’ è tanta ricchezza nascosta in ciascuno di noi: non è un’attività disprezzabile imparare a riconoscerla, soprattutto nell’età dei prodigi tecnologici, che tanta distrazione veicolano e magnificano.

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L’altro volume di cui si intende parlare in questo articolo, è stato pubblicato da Roberto Calasso, fondatore e direttore della casa editrice Adelphi, nel 2020 e s’intitola Come ordinare una biblioteca. Non è un manuale per apprendisti bibliotecari, ma una sobria, sincera dichiarazione d’amore al mondo dei libri, ricca di aneddoti, di personaggi (da Aldo Manuzio ed Erasmo da Rotterdam, a Bruce Chatwin e Isaiah Berlin), di notizie affascinanti su tante opere a stampa (libri e riviste e recensioni), di speculazioni sul migliore ordine nella disposizione dei libri. Argomenta Calasso che questo “non può che essere plurale, almeno altrettanto quanto la persona che usa quei libri. Non solo, ma deve essere al tempo stesso sincronico e diacronico: geologico (per strati successivi), storico (per fasi, incapricciamenti), funzionale (connesso all’uso quotidiano in un certo momento), macchinale (alfabetico, linguistico, tematico). E’ chiaro che la giustapposizione di questi criteri tende a creare un ordine a chiazze, molto vicino al caos, e questo può suscitare, a seconda dei momenti, sollievo o sconforto”. L’arguzia di questo suggerimento tassonomico mi ha ricordato un esilarante passo in cui Jorge Luis Borges parla di una improbabile enciclopedia cinese in cui si dice che gli animali si dividono in “a) appartenenti all’Imperatore, b) imbalsamati, c) addomesticati, d) maialini da latte, e) sirene, f) favolosi, g) cani in libertà, h) inclusi nella presente classificazione, i) che si agitano follemente, j) innumerevoli, k) disegnati con un pennello finissimo di peli di cammello, l) et caetera, m) che fanno l’amore, n) che da lontano sembrano mosche.” Dal riso irrefrenabile che queste parole provocarono, nacque, però, per sua stessa ammissione, una delle opere più significative di Michel Foucault, Le parole e le cose. Tanto grande è il potere dei libri.

Ci si convince, leggendo questo testo della Piccola Biblioteca Adelphi, che anche la propria vita è un libro, con le sue pagine ormai lette, quelle sotto i nostri occhi proprio ora, e quelle che si spera aspettino ancora la nostra attenzione, avvolte nella vaga aurea dell’incerto futuro e non così fisicamente lì come quelle del volume che abbiamo in mano.

La lettura del libro di Calasso mi ha fatto pensare a Hernando Colón, figlio illegittimo di Cristoforo Colombo, vissuto tra il 1488 e il 1539. Oltre a visitare il Nuovo Mondo, nel corso dell’ultimo viaggio del padre, Hernando fu in grado di dare sostanza ad un sogno che nessun aveva sognato prima di lui, costituire la prima biblioteca privata del mondo. Raccolse, nel corso di una vita di viaggi e di ricerche, una collezione di circa 20.000 esemplari: volumi, opuscoli, carte geografiche, fogli con canzoni e con ballate, immagini popolari. Soltanto nell’anno 1530 visitò Roma, Bologna, Modena, Parma, Torino, Milano, Venezia, Padova, Innsbruck, Augsurg, Costanza, Basilea, Friburgo, Colonia, Maastricht, Anversa, Parigi, Poitiers e Burgos, acquistando libri dovunque si fermava, e trasportando tutto nella sua Siviglia. Creò anche il primo sistema di catalogazione, completo di cartellini riassuntivi che potevano essere spediti a chi fosse interessato. Presso la Cattedrale di Siviglia, in una stanza sotto il portico che corre intorno al giardino degli aranci, è conservato quanto resta di quella straordinaria collezione. Hernando è sepolto all’inizio della navata principale della chiesa, poco distante dal gigantesco sarcofago che conserva i resti del celebre padre.

Credo che Hernando Colón avrebbe compreso quello che Jorge Luis Borges (non è un caso ripetere il suo nome: il grande scrittore argentino fu aiuto catalogatore alla biblioteca municipale Miguel Cané nel quartiere di Boedo, a Buenos Aires, e dal 1956 direttore della Biblioteca Nazionale) scrisse nel suo racconto “La biblioteca di Babele”: “L’universo (che altri chiama la Biblioteca) si compone d’un numero indefinito, e forse infinito, di gallerie esagonali, con vasti pozzi di ventilazione nel mezzo, delimitati da basse ringhiere. Da qualsiasi esagono si vedono i piani superiori e inferiori, interminabilmente. La distribuzione delle gallerie è invariabile. Venticinque vasti scaffali, in ragione di cinque per lato, coprono tutti i lati meno due; la loro altezza, che è quella stessa di ciascun piano, non supera di molto quella di un bibliotecario di statura ordinaria. Il lato libero dà su un angusto corridoio che porta a un’altra galleria, identica alla prima e a tutte. A destra e a sinistra del corridoio vi sono due gabinetti minuscoli. Uno permette di dormire in piedi; l’altro di soddisfare i bisogni corporali. Di qui passa la scala a chiocciola, che s’inabissa e s’innalza nel remoto. Nel corridoio è uno specchio, che fedelmente duplica le apparenze. Gli uomini sogliono inferire da questo specchio che la Biblioteca non è infinita (se realmente fosse tale, perché questa duplicazione illusoria?); io preferisco sognare che queste superfici brunite figurino e promettano l’infinito…”

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Robert Louis Stevenson

Ugo Gervasoni – Le voci dei maestri

Robert Louis Stevenson

Robert Louis Stevenson | British author | Britannica
(1850 – 1894)

Il 13 novembre 1850 nacque ad Edimburgo, in Scozia, Robert Louis Stevenson. Originariamente avviato dal padre agli studi di ingegneria, al fine di continuarne l’attività familiare di progettista e costruttore di fari costieri, divenne invece uno dei narratori più maliosi della seconda metà del XIX secolo, in anni che non furono privi di romanzieri di primissima grandezza. Gracile e malaticcio, crebbe in un ambiente protettivo, nutrito dalle fiabe che ruotavano intorno alle avventure di briganti e di spettri, raccontate dagli adulti che si alternavano al capezzale del suo letto. Queste finzioni, spesso inquietanti, erano segnate anche da un austero, cupo fondo calvinista, retaggio religioso della famiglia, così che la concezione dl mondo in cui si formò il bimbo era quella di un’umanità divisa in due campi antagonisti: quello dei totalmente buoni e quello dei totalmente malvagi. Nessuna sfumatura: o si era destinati al Paradiso, dopo avere cantato inni tutta la vita; o si era necessariamente avviati sulla via della dannazione.

Nonostante la salute cagionevole, Stevenson, dopo la breve, inevitabile parentesi degli studi di ingegneria, si iscrisse ai corsi di giurisprudenza dell’Università di Edimburgo, anche se, dopo la laurea, indossò toga e parrucca solo “per allegria”, come confessò. Mentre era studente imparò a conoscere la sua città natale percorrendone le strade, frequentò anche i luoghi meno rispettabili, ascoltò le storie che gli avventori si raccontavano nelle taverne, addestrò l’occhio a cogliere il dettaglio distintivo delle persone, e l’orecchio a riconoscerne l’accento particolare. Si sentì attratto dalla nascente scienza psicologica, oltre che dalle scoperte di Charles Darwin: Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde (1886) è il frutto più compiuto del fascino esercitato su di lui dalla personalità che si sdoppia. Amò i viaggi, e le sue avventure per il mondo furono registrate in libri-resoconto di godibile lettura, come Viaggi con un asino nelle Cévennes (1879), che ricrea le peripezie del giovane scrittore, in compagnia dell’asina che battezzò con il nome di Modestine, nella regione della Francia meridionale abitata dai discendenti degli ugonotti (i camisards) che guerreggiarono a lungo contro la repressione religiosa che seguì alla revoca dell’editto di Nantes, voluta da Luigi XIV. Le Chemin Stevenson, che si snoda per circa 200 chilometri da Le Monastier ad Alès, è tuttora un elemento di richiamo non indifferente per le Cévennes: si possono affittare i muli, e pernottare negli alloggi dove si fermò l’autore, che fu forse il primo a dire: “Io viaggio non per andare da qualche parte, ma per andare. Viaggio per viaggiare.” Innamoratosi di una divorzianda americana, Stevenson la seguì nel Nuovo Mondo, la sposò nel 1880 e passò la luna di miele in un campo minerario abbandonato, sui monti a nord di San Francisco, tenendo un diario che si trasformò nel romanzo Gli occupanti di Silverado (1883). Ritornato in Europa conobbe il successo, con L’isola del tesoro (1883), Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde, sopra ricordato, La freccia nera (1888), Il signore di Ballantrae (1889), e l’agiatezza, che gli permise di fare nuovi viaggi per trovare un clima che desse sollievo alla tubercolosi che lo minava. Si stabilì infine a Samoa, acquistando un terreno nella località di Vailina, ove costruì una casa confortevole. Morì improvvisamente, di emorragia cerebrale, il 3 dicembre 1894, lasciando incompiuto l’ultimo romanzo, La diga di Hermiston.

Le Chemin de Stevenson: What? | From the sea to the land beyond b   Robert Louis Stevenson - Treasure Island - 1895 - Catawiki
L’isola del tesoro è un racconto che lega il fascino del viaggio nei luoghi esotici al candore della voce narrante, che appartiene a Jim Hawkins, ragazzo di dodici anni che vive l’avventura che tutti vorrebbero avere avuto in sorte nel momento magico, e irripetibile, del passaggio dall’età della fanciullezza a quella della pubertà e della conoscenza del mondo adulto. E’ il periodo dell’incanto, delle scoperte, dei sogni, delle nostalgie, degli affetti, degli squilibri anche, quando gli occhi ancora si spalancano per lo stupore, le impressioni hanno la vivacità e l’aura della “prima volta”, la condizione umana è caratterizzata dalla fiducia essenziale nel prossimo, e gradualmente impara ad armarsi del suo opposto, la diffidenza, a causa della scoperta della malizia insita nei propri simili. Il racconto ebbe origine allorché, in un giorno del piovoso agosto 1881, Stevenson disegnò la mappa di un’isola per intrattenere il tredicenne figlio di Fanny, la donna che aveva sposato. Aveva temporaneamente preso dimora a Braemer, in Scozia, in una casa lugubremente nota come “la villa della scomparsa Miss McGregor”. In breve, quell’isola schizzata su un foglio si popolò di presenze sempre più vive, che si incarnarono in pirati e in una appassionante caccia ad un tesoro nascosto. Probabilmente, nel dare contorni definiti a quel luogo da mari del sud, che ancora non aveva visitato, Stevenson ricordò i paesaggi della California centrale, intorno a Monterey, dove aveva risieduto per alcune settimane prima di unirsi a Fanny, nel 1879. Fino a pochi decenni or sono era visitabile la capanna di legno dove lo scrittore abitò, sulle colline all’interno, non lontano da Point Lobos, che ora è un parco nazionale dalla lussureggiante vegetazione.

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Jim non è soltanto la voce narrante, è anche il personaggio che determina l’esito del viaggio e il successo della sua parte, composta dal signor Trelawney, dal dottor Livesey, dal capitano Smollett e dai marinai rimasti fedeli della nave Hispaniola, contro il gruppo dei bucanieri sopravvissuti al capitano Flint, comandati da Long John Silver. Il male non vince, nel romanzo, non tanto perché le misure predisposte dagli adulti vengono eseguite alla lettera, ma perché Jim, seguendo il suo istinto, fa ciò che non dovrebbe fare, aprendo possibilità che coloro che sono giunti all’età compiuta non possono e non sanno prevedere. Tranne pochi capitoli, che per ragioni strutturali sono narrati dal dottor Livesey, il lettore segue la vicenda attraverso gli occhi di Jim, che impara a conoscere le peculiarità del mondo dei grandi, dalla nobile stolidità del signor Trelawney, alla pratica saggezza del dottor Livesey, all’austera fermezza del capitano Smollett, alla diabolica doppiezza del pirata Israel Hands, alla rozza tracotanza di Billy Bones, alla patetica solitudine di Benn Gunn. Il personaggio più ricco di fascino narrativo è Long John Silver, il cuoco di bordo che nasconde, sotto la gioviale bonomia, la spietata malizia di chi fu capo timoniere del capitano Flint. E’ il trionfo dell’agilità del movimento fisico, nonostante una sola gamba gli sia rimasta dopo una battaglia navale, e si muova appoggiato ad una gruccia, accompagnato dal pappagallo che strilla “Pezzi da otto! Pezzi da otto!”; e dell’effervescenza del movimento intellettuale, che gli permette di comprendere all’istante quale sia la migliore strategia da adottare per trovare una via di scampo. Salta veloce da una situazione all’altra, superando di slancio avversità e pericoli, senza perdere mai la fiducia in se stesso, fino al congedo finale, in cui pare di avvertire il suo riso beffardo mentre la sua figura si dilegua al ritmo del ritornello che è risuonato per tutto il lungo racconto, “Quindici uomini sulla cassa del morto / Yo-ho-ho, e una bottiglia di rum!”

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Mark Twain

Ugo Gervasoni – Le voci dei maestri
Mark Twain

Mark Twain | Biography & Facts | Britannica
(1835 – 1910)

Il nome di Samuel Langhorne Clemens, nato nella cittadina di Florida, Missouri, il 30 novembre 1835, probabilmente non suggerisce nulla a chi per la prima volta lo senta risuonare: forse l’ipotetico ascoltatore sarà colpito dalla eufonica serie delle consonanti liquide e sibilanti e nasali, vivacizzate dalla scoppiettante effervescenza finale del suono /kl/ che introduce l’ultimo membro della triade, ma nulla più. Fu quello, peraltro, il nome di famiglia di uno dei maggiori narratori dell’America del XIX secolo (e non solo), che con il nome d’arte di Mark Twain, celebrò, ineguagliato, il grande fiume Mississippi. Invero, il nom de plume deriva dalla sua esperienza come pilota su uno degli ormai leggendari battelli a ruote, che solcavano quelle acque trasportando passeggeri e mercanzie. “Mark twain!” (“Segna due fathoms,” – circa quattro metri) era il grido che lo scandagliatore lanciava al pilota, per informarlo che la profondità dell’acqua dov’era l’imbarcazione consentiva ancora una navigazione sicura, e in caso di un battello di grandi dimensioni era meglio allora spostarsi in acque più fonde. Questo servizio era indispensabile, soprattutto in caso di nebbia, frequente e spessa sul Mississippi, e durante le ore della notte: “Se la notte è chiara,” scrisse Mark Twain in Life on the Mississippi, “le ombre si stagliano così cupe che se non conosceste a menadito la forma di una riva, girereste al largo di ogni mucchio di legname, perché ne scambiereste la nera ombra per un solido promontorio. (…) Poi c’è la notte in cui è buio pesto; il fiume ha una forma diversa col buio pesto che in una notte di stelle.”

Mark Twain seppe padroneggiare il grande fiume, conseguendo la patente di pilota, ma soprattutto seppe ricrearlo e renderlo eterno con le sue parole di romanziere. Il potere del linguaggio poetico di conferire immortalità a ciò che canta è stato riconosciuto sin dai tempi degli antichi aèdi greci, e ritorna frequente nei sonetti di William Shakespeare, per ricordare un esempio di non secondaria importanza. Le note che Mark Twain dedica al Mississippi, che inizia il suo corso dal lago Itasca nel Minnesota e sfocia nel Golfo del Messico dopo 3.779 chilometri, e scorre accanto alla fittizia cittadina di St. Petersburgh, dove si svolgono Le avventure di Tom Sawyer (1876), divengono indimenticabili nel capolavoro di Mark Twain, The Adventures of Huckleberry Finn, 1884-1885. L’intreccio del romanzo è riassumibile in poche parole: un ragazzo nella sua prima adolescenza decide di fuggire dalle vessazioni del padre alcolizzato e dalla rispettabilità della vita di St. Petersburgh (basata su Hannibal, ove crebbe lo scrittore), e al momento di iniziare la sua avventura si imbatte in Jim, lo schiavo nero che è scappato dalla casa di Miss Watson, l’educatrice di Huck, perché aveva inteso che la padrona lo voleva vendere. Insieme, a bordo di una zattera, portata dalla corrente in piena fino al loro primo rifugio, un isolotto al centro del Mississippi, appena a sud di St. Petersburgh, i due discendono il maestoso fiume, vivendo un’avventura dopo l’altra, fino alla piantagione dei Phelps, nell’Arkansas, dove il romanzo si conclude tra colpi di scena ben congegnati.

Le avventure di Huckleberry Finn - Wikipedia           See Edward Ardizzone's Lost 'Huck Finn' Illustrations - The Atlantic
Le caratteristiche narrative sono tipiche del racconto picaresco, nel corso del quale il protagonista viene a contatto con figure di ogni tipo, incluse quelle di dubbia, o nulla, rispettabilità: il prototipo è Lazarillo de Tormes, che apparve in Spagna nel 1553, e trovò fortuna in tutta Europa, influenzando Daniel Defoe e Henry Fielding in Inghilterra, e facendo sentire le sue seduzioni fino a Thomas Mann, il cui Confessioni del cavaliere d’industria Felix Krull (1954) è una moderna variazione sul tema. Pressoché tutta la multiforme umanità che vive e prospera e traffica lungo il leggendario fiume fa la sua apparizione nelle pagine del romanzo, dagli zatterieri impegnati nella fluitazione del legname, a chi vive di espedienti, ai veri e propri truffatori come il Re e il Duca, che sono la personificazione del con-man, diabolica e ambigua presenza in terra d’America, che fornì materia a Herman Melville per il suo memorabile romanzo The Confidence-Man, 1857.
La storia è raccontata da Huck Finn, il cui linguaggio, libero da vincoli sintattici e morfologici, è una delle attrattive del libro: il suo mondo è anche il suo peculiare modo di rappresentarlo, nella sua parlata distorta e ingenua, piena di solecismi, che suona viva quanto più non si potrebbe. Altra fonte di piacere è la lingua di Jim, che mima quella degli schiavi privi di qualsiasi istruzione. Quando, in un’occasione traboccante di inquietante sospensione, nel buio di una notte di tempesta, Huck chiede a Jim di approntare la zattera per abbandonare un relitto dove sta per essere compiuto un misfatto, questi, sconvolto e in preda al panico, risponde: “Oh, my lordy, lordy! Raf’? Dey ain’ no raf’ no mo’, she done broke loose en gone! – ‘en here we is!” Impossibile mantenere il sapore di questa esclamazione concitata e comica in un’altra lingua, ma il senso è: “La zattera? Miodio, miodio! Fine della zattera, lei andata e sparita! E noi qui!” Ma Mark Twain sa fare risuonare anche la nota patetica nel paziente Jim, come nel capitolo 23, quando il buon uomo racconta ad Huck di come una volta trattò crudelmente la propria figlioletta, che non ubbidiva al suo ordine di chiudere la porta di casa. Persa la pazienza, dopo più richieste, Jim la colpì, facendola cadere. Più tardi, mentre la bimba era con le spalle alla porta, questa si chiuse rumorosamente spinta dal vento, ma la bimba rimase immobile, con le lacrime che le scorrevano sul volto. “Era sorda e muta, Huck, e io non l’avevo capito,” confessa in lacrime. “He was a mighty good nigger, Jim was,” commenta Huck, commosso.

Here's how to teach Huck Finn. | Huck finn, Huckleberry finn, Adventures of huckleberry finn
Le avventure che si susseguono costringono Huck Finn ad affrontare questioni di non facile soluzione, non solo a livello pratico, quali il governo della zattera e la scelta dei luoghi di sbarco più sicuri, ma anche e soprattutto nel campo morale e della vita sociale. Il romanzo è ambientato negli stati del sud dell’Unione, ancora schiavisti, e il ragazzo, cresciuto tra quelle atmosfere, ad un certo punto deve decidere se denunciare Jim, schiavo in fuga, alle autorità perché lo ritornino ai legittimi padroni, o aiutarlo come ha fatto finora. La sua educazione gli dice che egli dovrebbe comportarsi come la sua società si aspetta che egli si comporti: quasi convinto dalle motivazioni che ripete a se stesso in un serrato monologo interiore, in cui considera le ragioni a favore e contro la possibile denuncia, si appresta infine ad ottemperare al suo dovere civile, e scrive poche righe a Miss Watson per rivelarle dove si trova il fuggitivo. Ma la sua coscienza non lo lascia tranquillo. Si ricorda di tutti i momenti vissuti insieme, dell’affetto che Jim gli ha sempre dimostrato, di quello che lui stesso avverte nei suoi confronti, e, anche se la voce pubblica lo condanna alle pene dell’inferno, d’un subito decide: “All right, then, I’ll go to hell,” e straccia il biglietto.
Come Don Chisciotte porta con sé la Mancia nei suoi vagabondaggi, anche quando se ne allontana, così Huckleberry Finn è l’eroe del Mississippi, e la zattera è il suo Ronzinante. Confessa il giovane narratore: “Altri posti sembrano affollati e soffocanti , ma non una zattera. Ci si sente davvero liberi e a proprio agio su una zattera. (…) E’ bello vivere su una zattera. Avevamo il cielo, lassù, tutto punteggiato di stelle, e stavamo sdraiati a guardarle, e ci chiedevamo se erano  davvero là, o se erano solo un’apparizione; mi sembrava che ci volesse troppo tempo per farle tutte quante.” Huck sa capire la poesia del fiume, ma sa anche sfruttare la sua mente mercuriale, inventando sui due piedi le più inverosimili storie per trarsi ripetutamente d’impaccio. T. S. Eliot, il poeta della Terra desolata, considerò Huchkleberry Finn una delle più affascinanti figure simboliche della narrativa, “degna di prendere il proprio posto accanto ad Ulisse, al dottor Faust, a Don Chisciotte, ad Amleto,ed ad altre scoperte che l’uomo ha fatto investigando la propria condizione.”

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Rudyard Kipling

Ugo Gervasoni – Le voci dei maestri
Rudyard Kipling
(1865 – 1936)

Rudyard Kipling | Biography, Books, & Facts | Britannica

Rudyard Kipling non è molto popolare nel nostro tempo. Anche chi studia lingua e civiltà inglese nella scuola superiore, difficilmente si imbatte in questo scrittore, purtroppo associato alla celebrazione dell’impero britannico, e alla superiorità dell’uomo occidentale su tutti gli altri popoli della terra. Per quanto sinceramente convinto della missione civilizzatrice che agli inglesi era toccata in sorte come dovere storico ineludibile nei confronti degli indiani (fu lui a coniare, in una poesia, l’espressione The white man’s burden, “Il fardello dell’uomo bianco,” per dare veste morale alla presenza dell’uomo ocidentale nelle parti sottosviluppate del mondo: portare, cioè, la cultura europea ai pagani non civilizzati), non è possibile condonare le sofferenze e gli abusi che tutto il lungo periodo di colonizzazione causò. Chi volesse intendere la complessa ambiguità di quella condizione, può con profitto considerare un capolavoro della narrativa inglese del ventesimo secolo, A Passage to India, di Edward Morgan Forster, che uscì nel 1924.

Nato a Bombay, poiché il padre, poliedrica figura di funzionario e di artista, svolse la sua carriera in India, fino a diventare sovrintendente del museo di Lahore, Rudyard Kipling fu educato in Inghilterra, in una atmosfera traumatizzante caratterizzata da bullismo e punizioni corporali, e tornò poi in Oriente nel 1882, lavorando come giornalista. Fu un attento e appassionato osservatore del paese in cui era nato, ripetutamente esplorandone le complesse e fascinose abitudini di vita. Più che nei suoi romanzi, tra i quali si ricordano Capitani coraggiosi (1897) e Kim (1901), il suo talento narrativo trovò la propria migliore espressione nei racconti pubblicati nella raccolta dal titolo The Jungle Books (1894 – 1895), in italiano Il Libro della Giungla. Questi racconti sono spesso impeccabili, oltre che per l’intreccio, anche per lo stile. Una curiosità editoriale è che il libro uscì corredato delle belle e raffinate illustrazioni del padre, elegante disegnatore.

File:T2JB087 - How Fear Came title illustration.JPG - Wikipedia

Tra i protagonisti è Mowgli, il cucciolo d’uomo che viene accolto da una famiglia di lupi e cresce al di fuori del cerchio protettivo della civiltà. L’interessante scelta di Kipling è che Mowgli non è l’assoluto protagonista del libro, come se il fatto di essere umano conferisse, per ciò stesso, una superiorità indiscutibile su tutti gli altri animali. Mowgli è uno dei personaggi, altrettanto, talvolta addirittura meno, importante che la pantera Bagheera, l’orso Baloo, e Akela, il capo del branco dei lupi. Bagheera e Baloo istruiscono il delicato cucciolo d’uomo secondo i dettami della legge della giungla, lo proteggono, lo consigliano lo castigano. La legge è riassunta dalla pantera dal nero manto in poche incisive parole: “What is the Law of the Jungle? Strike first and then give tongue. (“Qual è la legge della Giungla? Prima colpisci, poi usa la parola”). Sembra la regola di un mondo spietato, ma, invero, la parola è sovrana anche nella foresta, tanto che Mowgli interagisce con gli animali che vi abitano grazie alla conoscenza del loro linguaggio. Né si può dimenticare che è proprio la parola che permette la nascita e la crescita dei racconti. Tra i più memorabili è quello che narra come Mowgli fu rapito un giorno dalle scimmie, che da lui volevano apprendere le tecniche specificamente umane della costruzione e dell’organizzazione. Per Bagheera e Baloo fu molto difficile liberarlo, e soltanto grazie all’aiuto del pericoloso ma fondamentale pitone Kaa. La scena finale della danza di Kaa, che getta un incanto mortale sulle scimmie paralizzate intorno a lui (le scimmie sono sprezzantemente chiamate Bandar-log dagli altri animali, perché “il popolo delle scimmie è vietato agli altri abitanti della giungla”), mentre il cielo si oscura e un silenzio inquietante scende sulle rovine della città dove le scimmie avevano cercato rifugio, ritiene tuttora un vivo interesse narrativo. Altrettanto emozionante è il racconto dell’atto finale della guerra tra Mowgli e Shere Khan, la tigre dal piede zoppo che ha giurato di uccidere e divorare il cucciolo d’uomo: ma quest’ultimo si dimostra stratega coraggioso, intelligente ed astuto.

Rikki-tikki-tavi - Wikipedia

Altri racconti intrecciano avventure di personaggi e luoghi diversi. Tra di essi si ricorda il piccolo Toomai, che diviene Toomai degli Elefanti dopo che i pachidermi accettano che assista allo spettacolo più arcano che la giungla possa offrire, la danza degli elefanti; un racconto è ambientato addirittura nei mari del nord, ed ha per protagonista Kotick, una insolita foca bianca. Tra le più fortunate creazioni di Rudyard Kipling è certamente Rikki-tikki-tavi, la giovane mangusta che si ritrova a dovere lottare con i due cobra Nag e Nagaina nel giardino della casa dove ha trovato ospitalità e affetto, dopo che il monsone ha distrutto la sua tana e la sua famiglia. Il nome della mangusta deriva dal grido di guerra del piccolo mammifero, allorquando, tra l’erba alta, erge la coda e lancia la sua sfida: “Rikk-tikk-tikki-tikki-tchk!” Il fascino di questo racconto è grande, e in molti, non solo i bambini, ancora ascoltano con attenzione e viva partecipazione le prodezze del piccolo animale.

Uno dei più bei complimenti resi a Rudyard Kipling viene da due studiosi del mito, Giorgio De Santillana e Hertha von Dechend. Nel loro prezioso e denso volume Il mulino di Amleto, pubblicato nel 1969, uno dei rari libri che sanno trasformare radicalmente la nostra comprensione del mondo (in questo caso mettendo in luce aspetti e significati inauditi del cosiddetto pensiero arcaico, che osava interpretare il mondo leggendo il percorso degli astri nei cieli), scrivono del nostro autore: “Kipling era uno scrittore ancora meravigliosamente in armonia con la mente del fanciullo che vive nella maggior parte di noi.”
La mente del fanciullo, chiosiamo noi, è in stretta comunione con la dimensione del mito, che è la modalità altra di raccontare e di intendere l’universo che ci parla per enigmi.

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Le epidemie e noi

Ugo Gervasoni – Le voci dei maestri
LE EPIDEMIE E NOI

Lista essenziale delle epidemie letterarie » BellevilleNews > bollettino di BellevilleTYPEE

L’epidemia, purtroppo aggravata al rango di pandemia, di COVID-19, che da mesi miete vittime nel mondo, oltre ad avere destabilizzato i ritmi e le abitudini della vita sociale, ha drasticamente indebolito le economie di tutti i paesi colpiti, ed ha avuto un impatto profondo non solo sul morale della gente, ma anche sul suo immaginario. E’ diventato più difficile considerare la propria vita come un continuo progresso, senza scosse, di bene in meglio: immagini di dolore e di morte fanno ormai parte del nostro vissuto quotidiano, e il pensiero che anche noi possiamo essere coinvolti, proprio noi, non solo e sempre gli altri, è costantemente presente. Il virus può penetrare nel nostro organismo, così come non ha risparmiato quello di tante vittime a noi note o ignote, – e allora, che fare?
Non è facile, né piacevole, né forse rilevante, provare a rispondere a questo quesito. Per sua natura, il futuro è bene che rimanga vago con il suo serbatoio di bene e di male che ci toccherà in sorte. Noi possiamo, però, cercare di essere preparati. Una buona esercitazione consiste nell’investigare le situazioni che ci fronteggiano, discernere le loro caratteristiche, intenderne la genesi e le modalità di impatto. Nel caso in questione, così urgente e drammatico, un buon aiuto per acquisire un miglior approccio all’inquietante fenomeno, è fornito da un paio di libri che si possono leggere o studiare con profitto.

Plagues and Peoples: Amazon.it: McNeill, William H.: Libri in altre lingue
Il primo si intitola Plagues and Peoples (Pestilenze e popoli), pubblicato dallo storico americano William H. McNeill nel 1976, e riedito con una nuova Prefazione nel 1998. Un fatto che viene immediatamente posto all’attenzione del lettore è che le malattie infettive, misteriose devastanti e inarrestabili, hanno da sempre accompagnato il cammino dell’uomo sulla terra: tubercolosi, morbillo, vaiolo, varicella, pertosse, parotite, influenza sono nomi che non evocano particolari terrori, perché la maggior parte degli adulti ora in attività ha sofferto nel proprio corpo, prima dell’avvento delle vaccinazioni di massa, di una o più di queste patologie. Più tenebrosa si fa l’aria quando si menzionano il tifo, il colera, o la peste bubbonica: allora il drammatico passaggio della posizione dell’uomo da cacciatore a cacciato è traumatizzante. Predatori invisibili sono tutt’intorno a noi, alcuni di essi letali. Il libro segue gli incontri e gli scontri tra l’umanità in sviluppo e le malattie contagiose dall’Eurasia del 500 AC, agli scambi transoceanici dei secoli XVI, XVII e XVIII, all’impatto ecologico della scienza medica dal 1700 ad oggi. Ogni pagina è istruttiva ed appassionante, il lettore può tracciarsi il proprio cammino, privilegiando un certo aspetto piuttosto che un altro, sentendosi più attirato da un particolare periodo storico che gli è rilevante. Un’ osservazione di McNeill su cui vale la pena riflettere, si trova all’inizio del libro: non è assurdo classificare il ruolo ecologico dell’umanità, in rapporto con le altre forme di vita del pianeta, come una malattia. L’uomo ha da subito sconvolto gli equilibri naturali pre-esistenti alla sua comparsa, proprio come la malattia distrugge l’equilibrio naturale all’interno del corpo che invade. Considerata dal punto di vista di altri organismi, l’umanità è simile ad un’infezione epidemica acuta, e le occasionali riduzioni della sua virulenza non hanno però mai permesso l’instaurarsi di una relazione stabile con l’ambiente.

The Great Influenza: The Story of the Deadliest Pandemic in History: Amazon.it: Barry, John M: Libri in altre lingue
L’altro libro, di non secondaria importanza per il tema di questo articolo, è il frutto del lavoro di un altro storico americano, John Barry. Si intitola The Great Influenza, pubblicato nel 2004 e riedito con una nuova Postfazione nel 2009. E’ dedicato alla pandemia più letale della storia umana, quella che esplose nel 1918, e seminò morte anche nell’anno seguente, prima di scomparire nel corso del 1920. Il punto di vista di Barry è quello dello storico dell’epidemia e del suo impatto di distruzione e di morte, ma vuole anche essere quello dello storico della scienza, della scoperta, del pensiero, e di come, nel mezzo della confusione e del panico paralizzanti, “un pugno di uomini ricercò la serenità della contemplazione, la calma che precede non il pensiero, ma l’ azione risoluta.” Nel corso della lettura veniamo in contatto con uomini dediti alla ricerca scientifica, spesso in lotta con ostacoli burocratici oltre che con la virulenza dell’infezione, ma che riuscirono a fronteggiare l’emergenza. Nomi che è cosa buona e giusta ricordare: William Henry Welch, la figura forse più significativa della storia della medicina americana; Simon Flexner, il primo direttore del Rockefeller Institute for Medical Research; Oswald T. Avery, William Park, Anna Wessel Williams, Rufus Cole, Paul A. Lewis, Richard Slope.

The Great Influenza: The Story of the Deadliest Pandemic in History by John M. Barry
La stima più bassa del numero delle vittime della cosiddetta spagnola è di 21 milioni. E’ però plausibile ritenere che quella pandemia causò 50 milioni di morti, o addirittura 100 milioni. Il periodo in cui imperversò il contagio fu di due anni, ma circa due terzi delle morti avvenne nel giro di dieci/undici settimane, dalla metà di settembre agli inizi di dicembre 1918. Non solo: l’influenza causò più vittime in un anno di tutte quelle provocate dalla peste bubbonica (la famigerata Morte Nera) nel corso delle sue varie apparizioni nel XIV secolo in Europa. L’influenza del 1918 fu caratterizzata da una prima ondata, relativamente pericolosa, ed da un secondo attacco, feroce e spietato, perché il virus, adattandosi all’uomo, acquisì una forza di distruzione inarrestabile e concentrata, tale da trasformare, addirittura, il sistema immunitario dell’organismo in una macchina letale per l’organismo stesso. E’ stato registrato che, nella sola giornata del 10 ottobre 1918, l’epidemia uccise 759 persone a Filadelfia, città il cui tasso di decessi, prima dell’esplosione del contagio, era di 485 morti la settimana, tenendo conto di ogni causa, dalle malattie agli incidenti ai suicidi agli omicidi. Molti colpiti spiravano senza neppure la possibilità di avere visto un medico. Tra i paesi che soffersero maggiormente fu l’Italia, che perse circa l’1 per cento della sua popolazione, numero a cui va aggiunto, non si dimentichi, quello delle vittime causate dalla Grande Guerra.

Poiché l’influenza ebbe la sua origine nella Contea di Haskell, nel Kansas, e fu portata in Europa dai soldati americani trasportati in Francia per prendere parte alla Grande Guerra, è lecito domandarsi perché le fu dato il nome di “spagnola”. Il libro di Berry dà la risposta. Dopo l’intervento americano nella Prima Guerra Mondiale, il controllo della censura sugli organi di informazione divenne rigoroso, addirittura tirannico, per ordine dello stesso presidente Woodrow Wilson. Nessuna notizia che potesse avvilire il morale del popolo americano poteva essere pubblicata. Un’epidemia non favorisce di certo ottimismo e fiducia in se stessi: quindi silenzio stampa. Poiché la Spagna rimase neutrale al conflitto, l’epidemia divenne nota come “influenza spagnola,” dato che i giornali della penisola iberica furono i primi a fare circolare resoconti allarmati e veritieri sulla diffusione del contagio.

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Peter Frankopan

Ugo Gervasoni – Le voci dei maestri
Peter Frankopan
(1971)

Coronavirus: British historian says 'new world order' can help lead recovery from Covid-19 | The National

Peter Frankopan, informa una sobria nota biografica in terza di copertina del libro The Silk Roads, A New History of the World (Le strade della seta), pubblicato nel 2015, è Professor of Global History presso l’Università di Oxford, Direttore del Centro di Ricerche Bizantine, e Senior Research Fellow al Worcester College di Oxford. Tra i suoi lavori scientifici si ricordano innanzitutto la traduzione dell’Alessiade (2009), un affascinante poema epico sull’imperatore Alessio I, composto dalla figlia Anna Comnena, sorprendente figura di primo piano, sia in politica che in letteratura, nella Bisanzio degli anni a cavallo dei secoli XI e XII; poi un denso volume dedicato alla prima crociata, The First Crusade, The Call from the East, dato alle stampe nel 2012. Cresciuto in una famiglia, come egli stesso ricorda, che gli apprese l’importanza di un ambiente multilingue al fine di conseguire consapevolezza della multiforme natura del mondo, Frankopan fu folgorato, ancora adolescente, dalla rivelazione che l’usuale narrazione della storia del pianeta, basata sulla centralità indiscutibile del Mediterraneo, era difettosa. Lo studio delle lingue russa e araba, intrapreso durante gli anni della scuola secondaria, gli confermò che il vero Mediterraneo – propriamente: “in mezzo alla terra” – era altrove, cioè non tra Africa ed Europa, ma nel cuore dell’Asia. Questa scoperta, all’origine di un percorso di studi appassionati e preziosi presso le biblioteche e i centri di ricerca più prestigiosi del mondo, gli ha infine permesso di scrivere il libro citato in apertura di questo articolo, “una sorprendente esplorazione delle forze che hanno causato la nascita e la caduta degli imperi, hanno determinato il flusso di idee e di merci, ed ora preannunciano una nuova alba nelle relazioni internazionali,” come dice la succinta presentazione dell’opera in quarta di copertina (edizione Bloomsbury, 2016).

Amazon.it: The Silk Roads: A New History of the World - Frankopan, Peter - Libri in altre lingue
Il titolo del volume deriva da una espressione coniata nel tardo XIX secolo dal geologo tedesco Ferdinand von Richtofen (zio di Manfred von Richtofen, il famoso Barone Rosso, leggendario comandante del Jadgeschwader 1 dell’Aviazione Imperiale, il quale abbatté 80 velivoli nemici prima che il suo Fokker rosso fosse a sua volta abbattuto dalla contraerea nemica sopra Amiens, nel 1918), che così chiamò la vasta rete delle vie di comunicazione che si dipartiva dalle steppe dell’Asia centrale verso l’occidente, lungo le quali si muovevano pellegrini e guerrieri e nomadi e mercanti, derrate alimentari e merci preziose: die Seidenstraße, appunto, le strade della seta. Queste strade, osserva Frankopan nella Prefazione, “fungono da sistema nervoso centrale del mondo, collegano popoli e luoghi, ma sono situate sotto l’epidermide, invisibili a occhio nudo.”
Il libro è ricchissimo, la lapidaria frase iniziale è memorabile: “Dall’inizio del tempo il centro dell’Asia fu il luogo dove si formarono gli imperi.” Subito il lettore incontra il re di Babilonia Hammurabi, che regnò 2.000 anni prima dell’era corrente, poi Erodoto, con il suo elogio dell’apertura mentale e dell’organizzazione socio-politica dei Persiani, che permise loro di creare una rete di comunicazioni che collegava la costa dell’Asia Minore con Babilonia, Susa, Persepoli: i dispacci del Gran Re impiegavano una settimana a coprire una distanza di 1.600 miglia, né erano ostacolati da neve, pioggia, calura o tenebre, commentava ammirato il padre della storia. Si affacciano via via alla ribalta i personaggi e i popoli che abbiamo anche noi studiato negli anni della scuola, Alessandro il Macedone, Roma, la Cina, Costantinopoli, ma da un punto di vista insolito: non centrali rispetto alla periferica posizione geografica del mondo orientale, ma dipendenti da esso, sia economicamente che dal punto di vista dell’immaginario. I sogni di ricchezza, di lusso, di civiltà si nutrivano della linfa dell’Asia centrale, che dirozzava i costumi romani anche se, si preoccupava Sallustio, “rammolliva lo spirito guerriero dei soldati.” (A causa di una curiosa svista tipografica, dato che la nota al testo in discussione rinvia correttamente al preciso passo del Bellum Jugurthinum, Sallustio viene chiamato poeta, nel primo capitolo. Peraltro, ho subito convenuto, come negare fascino poetico a tante pagine dello storico romano? Basta pensare al poderoso ritratto di Catilina, o all’ammaliante passo del De Coniuratione, LV, 3, in cui si fa riferimento al carcere Tulliano: “Est in carcere locus, quod Tullianum appellatur.” Addirittura Dante, che non sapeva di Sallustio, riecheggia quel ritmo sallustiano all’inizio del canto XVIII dell’Inferno, quando scrive: “Luogo è in inferno detto Malebolge,/tutto di pietra di color ferrigno,/come la cerchia che dintorno il volge.”)

L'Italia sulla Via della Seta: punti di vista a confronto - Geopolitica.infoGeopolitica.info

Al ritmo narrativo affascinante come quello di un romanzo che non si può riporre, Peter Frankopan ci presenta la nascita di Costantinopoli, il commercio degli schiavi (sul quale prosperarono anche le repubbliche marinare italiane), le crociate, l’emergere del mondo islamico, l’apparizione di Genghis Khan e dei suoi mongoli, la peste, Tamerlano, Cristoforo Colombo e Vasco da Gama, Magellano, la crescita dell’impero spagnolo e poi di quello britannico e infine di quello americano, tutti riconsiderati alla luce dell’inevitabile rapporto con il centro dell’Asia. Gli ultimi capitoli, dopo l’esame delle due grandi guerre, si concentrano sulla crescente importanza delle ricchezze naturali presenti nel sottosuolo dell’Asia (gas e petrolio in particolare), che hanno determinato la politica del recentissimo passato, tra dittatori e fanatici e terroristi, sino ai nostri giorni. Un affresco complesso e completo, oltre che straordinariamente istruttivo. Concentrarsi su uno, piuttosto che su un altro, dei 25 capitoli del libro, rischierebbe di impoverire la rilevanza e la compattezza dell’opera. Preferisco riportare un passo che Frankopan inserisce verso la fine della Prefazione, perché mi pare renda in modo suggestivo la novità del libro: “La mitologia racconta che Giove, il padre degli dèi, liberò due aquile, ognuna alle due estremità della terra, e comandò loro di volare l’una verso l’altra. Una pietra sacra, l’omphalos – l’ombelico del mondo – fu posta dove si incontrarono, per permettere la comunicazione con la divinità. (…) Ricordo di avere studiato la mia carta geografica dopo avere udito questo racconto, chiedendomi dove le aquile si sarebbero incontrate. Immaginavo le due aquile che si dipartivano dalle coste dell’Atlantico occidentale e dalla costa Pacifica della Cina, in volo verso l’entroterra. Il punto preciso del loro incontro variava, a seconda della posizione delle mie dita quando iniziavo a calcolare distanze uguali da est e da ovest. Ma sempre finivo in qualche posto tra il mar Nero e l’Himalaya. (…) Il vero crogiuolo, il ‘Mediterraneo’ nel suo senso letterale – il centro del mondo – non era un mare che separa l’Europa dall’Africa settentrionale, ma era proprio nel cuore dell’Asia.”

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Ippolito Nievo

Ugo Gervasoni – Le voci dei maestri
Ippolito Nievo
(1831 – 1861)


Ippolito Nievo - Wikipedia

Le Confessioni d’ un italiano, il cui titolo originale, a causa della censura, fu mutato in Le Confessioni d’ un Ottuagenario dall’editore Felice Le Monnier di Firenze, allorché lo pubblicò in due volumi nel 1867, sta nel novero delle grandi opere narrative dell’Ottocento italiano, non inferiore né al monumento manzoniano, prima, né ai romanzi di Giovanni Verga, poi. Neppure sfigura accanto alle straordinarie produzioni del romanzo europeo, da Balzac a Stendhal a Flaubert a Dickens, fino ai giganti Dostoevskij e Tolstoj.

La prima sorpresa che il lettore prova scorrendo la biografia di Nievo, è che l’ottuagenario che si presenta subito come narratore, è dovuto alla penna di un autore tra i ventisette e i ventotto anni, giovanissimo quindi, ma in grado di rendere plausibile e convincente la voce di un vecchio che ripercorre la storia recente, complessa e dolorosa, del farsi dell’Italia. Non solo: Nievo, che lavorò al romanzo tra la fine del 1857 e l’agosto dell’anno successivo, scrivendo “notte e giorno; anzi, più la notte che il giorno,” non ebbe tempo per la revisione del lunghissimo testo, impegnatissimo in altri progetti letterari e nelle trattative con gli editori, oltre che nella spedizione dei Mille a cui l’aveva invitato lo stesso Giuseppe Garibaldi. Ultimo impedimento, e irreparabile, fu il tragico naufragio del piroscafo Ercole, sul quale ritornava da Palermo al continente.

Le parole con cui prende avvio il ponderoso romanzo, composto di più di 1.000 fittissime pagine sono rivelative: “Io nacqui Veneziano ai 18 ottobre del 1775, giorno dell’evangelista San Luca; e morrò per la grazia di Dio Italiano quando lo vorrà quella Provvidenza che governa misteriosamente il mondo.” Il pronome personale di prima persona è la parola iniziale del libro, quasi un omaggio alla poetica romantica che esaltava la sensibilità e l’importanza del soggetto; poi è suggerita la Storia come partecipazione dell’individuo alla vita comunitaria, nella ricerca dell’attuazione del difficile progetto di redenzione della patria; c’è infine l’accenno alla sfera sovratemporale, come confessione dell’inestinguibile anelito, pur nella posizione critica nei confronti di chiese e rituali, verso l’infinito, che è l’apertura delle possibilità. Questi, mi pare, sono i tre temi fondamentali che vengono inseguiti e sviluppati nel corso della narrazione, incarnati negli eventi che effettivamente si svolsero nella nostra penisola e nei personaggi a cui la fantasia creativa di Ippolito Nievo dà forma e consistenza. Il romanzo termina quando il narratore ha 83 anni, nel 1858, alla vigilia della dichiarazione, da parte di Cavour, della nascita del Regno d’Italia, nel 1861.

Carlo Altoviti, la voce narrante, giunto “al limitare della tomba, già ormai solo al mondo, abbandonato così dagli amici e dai nemici, senza timori e senza speranze che non siano eterne,” riconsidera le figure che hanno segnato il suo cammino: presenze-assenze ora memorabili ora elusive, ma tutte segnate da una vivacissima valenza personale. Tra i personaggi si distacca la Pisana, la fanciulletta che appare subito graziosissima e capricciosissima e indomabile negli ambienti fascinosi del castello di Fratta, l’unica vera anima amica del garzone di cucina Carlino, non ancora riconosciuto come legittimo membro della famiglia. In equilibrio sul confine tra petulante e maliosa, la Pisana non cade mai nell’irritante e nell’artificiale, è una creazione di vitalità e di mistero femminile che non cessa di sedurre, rimarrà l’unico grande inesauribile stupendo amore di Carlino. La di lei sorella, Clara, è una creazione diversa e quasi complementare: dolce, paziente e di profondo sentire, sa essere dura abbastanza per negarsi (e negare altrui) l’esperienza dell’amore. La Contessa di Fratta, madre delle due ragazze, è uno studio arguto e raffinato della tirannia muliebre, reso più memorabile dalle risorse offerte dalla caricatura: il suo progressivo declino a causa della schiavitù infernale al gioco d’azzardo è un’eccellente analisi degli effetti di una passione dominante sull’animo e sul corpo. Altri ritratti indimenticabili di donne sono quelli dell’Aglaura, dell’Aquilina, della Doretta, e della Contessa Migliana, che non nasconde il suo debole per i giovanotti che sono introdotti nel suo palazzo milanese.

Le confessioni d'un italiano - Wikipedia
Dal nucleo originario, concentrato sui luoghi di Fratta e dintorni, il romanzo si allarga a considerare Venezia e la sua decadenza, vista anche attraverso le vicissitudini delle famiglie Frumier, Venchieredo, Partistagno, Apostulos, Navagero, oltre che di figure storiche quali Ugo Foscolo e Lord Byron. Il flusso narrativo include anche un incontro ravvicinato di Carlino con il giovane generale Napoleone Bonaparte, poi impietosamente rivisto quando “l’Imperatore si era fatto grasso, e s’avviava allora alla vittoria di Austerlitz.” Fanno parte della narrazione i moti di indipendenza della Grecia contro l’occupazione ottomana; la descrizione di Londra al tempo in cui ancora vi si muovevano i poeti dell’età romantica; la rivisitazione dei moti appassionati e confusi del nostro Risorgimento, nel turbinoso lampeggiare e spegnersi del fuoco rivoluzionario tra il nord e il centro e il sud della penisola; l’evocazione di fatti di vita e di morte nel Nuovo Mondo, tra New York e l’Argentina. Un personaggio che fa da tramite tra l’anelito all’ideale e il coraggio di abbracciare il quotidiano, tra la storia dei popoli e quella dei singoli, è il dottor Lucilio Vianello, che vive gli sconvolgimenti del suo tempo con lucida partecipazione, pur soffrendo, giorno dopo giorno, dell’assenza della sua adorata Clara, ma che si rifiuta di  soccombere al sentimento di autodistruzione reso popolare in Europa da Werther e da Jacopo Ortis. Come il poeta inglese John Dryden disse, a proposito dei Racconti di Canterbury di Geoffrey Chaucer, “qui è l’abbondanza divina,” altrettanto si potrebbe ripetere delle Confessioni di Ippolito Nievo.

Tra le descrizioni che rimangono indimenticabili è quella della fontana di Venchieredo, la limpida sorgente chiusa in un tondo di pietre squadrate, introdotta nel romanzo quando Leopardo Venchieredo, nobiluomo dal retto sentire, vede la giovine Doretta che, seduta sul bordo, mollemente agita l’acqua col piede nudo per attirare i pesciolini: “Ella sorrideva, e batteva le mani di quando in quando allorché le veniva fatto di toccar colla punta del piede e sollevar dall’acqua alcuno di quei pesciolini. Allora la pezzuola che le sventolava scomposta sul petto s’apriva a svelar il candore delle sue spalle mezzo discinte, e le sue guancie arrossavano di piacere senza perdere lo splendore dell’innocenza.”

I Borghi più Belli del Friuli Venezia Giulia

Ippolito Nievo sa evocare la forza dell’attrazione erotica con calda partecipazione nel corso del romanzo, ripetutamente, senza forzature o trasgressioni o timori.

Per chi visita, ancor oggi, le rovine del Castello di Fratta, tra il Lemene e il Tagliamento, la Fontana di Venchieredo, tra “sentieruoli nascosti e serpeggianti, sussurrio di rigagnoli, chine dolci e muscose,” i Mulini di Stalis, poco distanti, “le cui ruote parevano corrersi dietro spruzzandosi acqua a vicenda come tante pazzerelle,” e poi Teglio e Cordovado e San Vito al Tagliamento, l’ incanto delle pagine di Nievo è sempre avvertibile, è sempre intenso.

I paragrafi finali del romanzo alternano i toni del comico dello struggente del patetico. Carlo Altoviti sa parlare con la virile malinconia che non cede al sentimentalismo, volgendo un ultimo sguardo equanime al suo passato: gli occhi possono colmarsi di umidità, ma la serena accettazione di ciò che deve accadere fra breve non è scossa. Il suo estremo sfogo lirico è un canto d’amore per l’indimenticabile Pisana. L’ultima parola del lunghissimo racconto è “soavemente”: l’avverbio lascia nel lettore l’eco di una musicalità dolcissima, invitando l’immaginazione a considerare vaghi spazi che sperabilmente conforteranno gli occhi che stanno per chiudersi ai colori e alle passioni di questo mondo, nell’attesa della condizione senza tempo in cui passato presente futuro saranno trascesi, e i morti e i vivi non saranno più schiavi di questa opposizione.

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Giovanni Pisano

Ugo Gervasoni – Le voci dei maestri

GIOVANNI PISANO A PISTOIA

Il Pulpito della Chiesa di Sant'Andrea di Pistoia di Giovanni Pisano - ADO Analisi dell'opera

Un recente viaggio a Pistoia, città ricca di arte pur non facendo parte del circuito turistico che attrae tanti visitatori in Toscana, appena prima delle nuove restrizioni sugli spostamenti a causa del virus che da mesi miete vittime anche nel nostro paese, ho approfittato della buona sorte per ammirare, tra tanti tesori, il pulpito a base esagonale che Giovanni Pisano progettò e scolpì per la chiesa di Sant’Andrea. Fu da lui terminato nel 1301, un anno prima di iniziare i lavori per il celeberrimo pergamo del duomo di Pisa, che segna forse il culmine dell’arte di Giovanni, sempre più attento e malioso nell’interpretare e raccontare la storia e i suoi drammi e trionfi, nel mentre che la sua attenzione e la sua curiosità inventiva sanno dedicare ogni cura anche ai dettagli meno appariscenti dell’evento che ricrea. Ho detto “buona sorte” non a caso, perché non appena, il giorno del mio arrivo, mi sono recato colmo di aspettative alla chiesa, ho trovato il portone ermeticamente serrato: un laconico messaggio informava che l’apertura del luogo sacro era limitata a poche ore durante il fine settimana. Non era la prima volta che mi ritrovavo a lamentare il dilagare dell’epidemia, e la delusione mi toglieva la pace. Che fare? Provai a contattare l’Ufficio turistico, e nel corso di un piacevole scambio con un volenteroso impiegato, riuscii a coinvolgere una guida che mi permise di superare l’ostacolo: “Si dice che Pistoia,“ mi confidò, “sia un po’ come le città del meridione d’Europa: se si conoscono le persone responsabili di questo o quel luogo, anche in periodi di chiusura è possibile soddisfare ai desideri degli amanti dell’arte. Non lo dico per denigrare la mia città né le altre che le possono somigliare. Riferisco semplicemente una diceria. Come dicevano i latini: Relata refero.”

Quando mi trovai davanti al pulpito, pur avendo poco prima ammirato lo splendido dossale in argento dorato che è custodito in una cappella del Duomo (fra le tante formelle, una è di Filippo Brunelleschi), mi sentivo fresco e disposto alle nuove suggestioni come chi finalmente è al cospetto di un capolavoro che da tempo gli occupa la mente e il cuore, e tutto il resto passa in secondo o in terzo piano. Le storie scolpite nei pannelli del parapetto sono narrazioni di intensa carica drammatica tali da rivaleggiare con le pagine dei romanzi che più ci catturano, Il rilievo è quasi a tutto tondo, l’occhio si ritrova ad andare di piano in piano e di scena in scena quasi in un crescendo di festa visiva, dai leoni che sostengono le colonne in porfido, agli archi trilobati a sesto acuto, alle figure che riempiono lo spazio ai loro lati, alle scene della Strage degli Innocenti o della Crocefissione. Quando quasi si è sul punto di perdere l’orientamento nella folla accalcata di uomini donne bimbi carnefici vittime, l’uno sovrapposto all’altro o in caccia o in fuga, ecco che si intuiscono le linee intorno alle quali si sviluppano le composizioni, che si diramano e si incrociano costruendo il loro spazio e vibrando nella luce che non solo si posa sui rilievi, ma avvolge le figure e le fa splendere. Si avverte il desiderio di sfiorare con la mano quei corpi, per comprendere anche la materia oltre che intenderne la forma. Tra le scene indimenticabili è quella della madre che, incredula e angosciata, abbandona lo sguardo sul bimbo sgozzato che le hanno lasciato sulle ginocchia: i seni colmi di latte tendono la veste, pronti a nutrire il pargolo che non si sveglierà più, un tocco di straziante realismo che sembra gridare, senza voce, la disperazione di tutte le donne che hanno perduto i figli a causa della violenza della storia che, come la bufera del quinto canto dell’Inferno dantesco, “mai non resta”.

Il virtuosismo di Giovanni Pisano attinge vertici di plasticità costruttiva quale si ammira in tanti gruppi marmorei di Michelangelo, di Bernini, e, nella nostra provincia, in quasi tutte le creazioni lignee di Andrea Fantoni. Giovanni era consapevole dell’altezza della sua arte, e non soffrì di falsa modestia nel proclamare l’importanza della sua opera. Nell’iscrizione latina che corre tra le arcatelle e i parapetti vengono ricordati i nomi del committente (Arnoldo) e dei due finanziatori (Andrea Vitelli e Tino Vitali); quello che colpisce però, se si riesce a decifrarla con non poca fatica, è che Giovanni Pisano scrive che lui “figlio di Nicola, seppe superare il padre in scienza e tecnica” (Nicoli natus scientia meliore beatus).

Le opere di Giovanni Pisano che visse tra il 1245 e il 1314, preannunciano già l’artista rinascimentale.

Tutti i significati segreti del pulpito di Giovanni Pisano in Sant'Andrea a Pistoia – arttrip.it

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Ted Hughes

Ugo Gervasoni – Le voci dei maestri

Ted Hughes

by (John) Edward McKenzie Lucie-Smith, bromide print, May 1970

(1930 – 1998)

Il 23 febbraio 1957 un telegramma annunciò  a Ted Hughes che la sua raccolta poetica dal titolo The Hawk in the Rain (Il falco nella pioggia) aveva vinto il concorso della 92nd Street Y: la giuria era composta dai prestigiosi poeti Wystan Hugh Auden, Marianne Moore e Stephen Spender. Continua a leggere

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Erich Auerbach

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Erich Auerbach

Auerbach

(1892 – 1957)

Ricordava Italo Calvino, recensendo nel 1969 Anatomy of Criticism del critico letterario canadese Northrop Frye, che “ognuno scava da ogni libro il libro che gli serve, soprattutto quando è un libro ricco e complesso come questo.” Continua a leggere

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Beppe Fenoglio

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Beppe Fenoglio

Beppe_Fenoglio

(1922 – 1963)

Talora siamo sorpresi, nel corso della lettura di un testo narrativo, da una frase, o una notazione, particolare che subitamente risplende sotto i nostri occhi come una gemma pregiata. Continua a leggere

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I luoghi: lo Stelvio

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I luoghi: lo Stelvio

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(Passo dello Stelvio, m. 2758)

Vi sono nomi che conferiscono ai luoghi o alle persone che evocano un’aura di unicità e di pregio tale da produrre forte entusiasmo e inquietante soggezione allo stesso tempo. Lo seppe Platone, che fa dire a Socrate, nel dialogo intitolato Teeteto, che Parmenide, incontrato da Socrate giovinetto ad Atene, gli pareva essere “venerando e insieme terribile”: Continua a leggere

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Goffredo Parise

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Goffredo Parise

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(1929 – 1986)

Il prete bello è un romanzo che Goffredo Parise scrisse nel corso dell’anno 1953, dopo che si era trasferito a Milano per lavorare presso la casa editrice Garzanti. Secondo quanto lo scrittore annotò, voleva allora raccontare una storia che lo divertisse e lo commuovesse allo stesso tempo, “tanto da cacciare il freddo e la solitudine.” Continua a leggere

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La rilevanza del nonsense, II

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La rilevanza del nonsense, II

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III

La meta della meditazione nell’ambito della spiritualità indiana, perseguibile grazie alle tecniche yoga, è di attingere livelli di realtà inaccessibili al profano. Continua a leggere

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La rilevanza del nonsense

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La rilevanza del nonsense

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Entréme donde no supe,

Y quedéme no sabiendo,

Toda sciencia transcendiendo.

                                                                                  Juan de la Cruz

L’impiego insistito dei giochi nonsense in un testo letterario porta all’estremo limite le possibilità di progressivo scardinamento linguistico che l’opera d’arte spesso favorisce. Continua a leggere

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Dylan Thomas

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Dylan Thomas

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(1914 – 1953)

Nell’apprendere la morte di Dylan Marlais Thomas, avvenuta in seguito a delirium tremens presso il Saint Vincent Hospital di New York il 9 novembre 1953, il poeta americano Kenneth Rexroth – figura di punta dell’avanguardia artistica che gravitava intorno all’area di San Francisco, Continua a leggere

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David Herbert Lawrence

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David Herbert Lawrence

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(1885 – 1930)

Il sensibilissimo orecchio poetico di Ezra Pound salutava la comparsa dell’opera in versi di Thomas Hardy, uno dei massimi scrittori inglesi di ogni tempo, come il miracolo linguistico lungamente atteso che finalmente giustificava la serie di ponderosi romanzi che Hardy aveva pubblicato nel corso degli anni: “Ecco infine la chiarezza,” annotava il poeta americano. “Ecco il risultato di avere scritto prima tutti quei venti voluminosi romanzi.” Continua a leggere

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Herman Melville, II

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Herman Melville, II

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(Bartleby, lo scrivano)

Quale è l’incanto di questa storia che tanto influì sul suo autore da fargli dimenticare il proprio volto, quasi fosse il risultato di una prova iniziatica? Che cosa vi scorse l’occhio di Melville, abituato a contemplare la tremula immensità dell’oceano, l’irridente moto delle onde che sempre promettono di portare qualcosa da lontano e sempre, invece di soddisfare l’attesa, giungono e cullano e passano preannunciando il proprio eterno ritorno nel profilarsi della prossima onda?

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Herman Melville, I

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Herman Melville, I

Herman_Melville_1860

(1819 – 1891)

Herman Melville pubblicò Bartleby lo scrivano: una storia di Wall Street, in forma anonima, nei numeri di novembre e dicembre 1853 di Putnam’s Monthly Magazine, dopo avere firmato un contratto di cinque dollari per pagina, – il compenso più alto che uno scrittore potesse allora conseguire per collaborazioni a riviste. Continua a leggere

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Don DeLillo, II

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Don DeLillo, II

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(Underworld)

Riprendo il discorso, interrotto al termine dell’articolo precedente per motivi di spazio, su Underworld, avvertendo il benevolo lettore che si parlerà, in questo caso, dei meriti e delle sorprese di un romanzo “che contiene moltitudini,” secondo l’osservazione di Michael Ondaatje, il romanziere singalese, naturalizzato canadese, noto internazionalmente per il notevole libro Il paziente inglese, 1992. Continua a leggere

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Don DeLillo, I

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Don DeLillo, I

delillo

(1936, New York City)

Habent sua fata libelli è un detto latino ben conosciuto che significa molto di più di quanto appaia. Per un verso, dice che i libri hanno un destino che sfugge alle previsioni e al controllo di chi li scrive e di chi li stampa e di chi li distribuisce: un iniziale insuccesso non è, per esempio, indice della mancanza di valore di un’opera, che talvolta non parla ai contemporanei soltanto perché il suo linguaggio non piace o non è inteso nell’età che l’ha vista nascere. Continua a leggere

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John Steinbeck

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John Steinbeck

steinbeck

(1902 – 1968)

Nella prima parte degli anni trenta del secolo scorso, una crudele, prolungata siccità colpì le terre tra il Texas e l’Oklahoma (i cosiddetti panhandle), quelle del sudest del Colorado e del Kansas, quelle del New Mexico orientale, e quelle degli altopiani occidentali. Continua a leggere

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Christopher Marlowe

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Christopher Marlowe

marlowe

(1564 – 1593)

La vita di Christopher Marlowe, il drammaturgo inglese più dotato tra quanti operarono prima di William Shakespeare, è ricca di ombre sinistre e di luci altrettanto inquietanti: Continua a leggere

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The Golden Gate Bridge

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The Golden Gate Bridge

Golden gate Bridge wallpaper

(1937)

Il Ponte della Porta d’Oro è un’opera d’arte che comunica in acciaio e ferro e calcestruzzo invece che in parole o colori o suoni, ma la sua struttura snella e insieme possente lascia l’osservatore incantato e ammirato come accade davanti ad una statua o a un quadro o ascoltando una sinfonia o un canto epico. Continua a leggere

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Giorgio de Chirico

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Giorgio de Chirico

de chirico

(1888 – 1978)

Il visitatore appassionato, curioso di arte pur non essendo uno specialista, che segue il percorso predisposto dai curatori Paolo Baldacci e Gerd Roos per la mostra “De Chirico a Ferrara. Metafisica e avanguardie”, sperimenta subito un senso di piacevole sorpresa. Continua a leggere

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Felicità

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Felicità

biblioteca

(Vagabondaggio in prosa)

H. sta sperimentando in questo momento una arcana felicità: avverte e gode, cioè, lo stato di gioia che scorre, proprio come una bella corrente d’aria o di acqua, per le sue membra e detta le sue risposte fisiche e psichiche. Allo stesso tempo è conscio di provare questa condizione di beatitudine tutta terrena. Continua a leggere

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La voce di un rivoluzionario

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La voce di un rivoluzionario

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Fidel Castro

Alcuni anni or sono, nel corso di un viaggio-soggiorno tra la costa orientale e quella occidentale degli Stati Uniti d’America, durante il quale le scoperte e le emozioni derivanti dalle meraviglie del paesaggio si alternavano con il fervore suscitato dagli stimoli culturali che gli ambienti di San Francisco e di New York non cessano di offrire, Continua a leggere

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Miguel de Cervantes

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Miguel de Cervantes

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(1547 – 1616)

Ho lasciato Cordoba, caldissima, questa mattina, all’ora che il sole già infuocava l’aria. Il ricordo della moschea-cattedrale, le cui snelle colonne sormontate da capitelli uno diverso dall’altro, si ripetono in tutte le direzioni creando uno spazio geometrico e labirintico che pare frutto di magia più che delle leggi architettoniche, è di quelli che non cadranno mai dalla memoria. Continua a leggere

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Dall’Africa nera

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Dall’Africa nera

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(Arthur Rimbaud, Joseph Conrad)

Nel 1890 al capitano Josef Korzeniowski fu affidato il comando di un battello che avrebbe dovuto risalire il fiume Congo, penetrare all’interno dell’ancora misterioso paese dell’avorio, esplorarne la natura e la geografia, e portare soccorso ad un agente della stessa compagnia belga che lo aveva assunto, il quale giaceva infermo all’interno. Continua a leggere

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Geoffrey Chaucer

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Geoffrey Chaucer

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(1343? – 1400)

I racconti di Canterbury sono il capolavoro di Geoffrey Chaucer e della civiltà medioevale inglese, che in essi si ritrova a riversare non solo i propri contenuti ma anche e soprattutto la sua più intima sostanza, ed in essi può eternamente rimirarsi. Chaucer fa del pellegrinaggio alla tomba del martire, e poi santo, Thomas à-Becket, Continua a leggere

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Primo Levi

Ugo Gervasoni – Le voci dei maestri

Primo Levi

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(1919 – 1987)

Dall’esperienza della lettura di Se questo è un uomo di Primo Levi, si esce con un crudo nodo di immagini violente compresse nella mente e, sembra, nella zona tra il cuore e lo stomaco. Il groviglio rimane lì, disturba il sonno e i sogni, talvolta pare di sentire, nel buio della notte, la voce di un aguzzino del campo che impone di alzarsi nell’aria gelida, Continua a leggere

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Dalla selva oscura

Ugo Gervasoni – Le voci dei maestri

Dalla selva oscura

paris attack

(13 novembre 2015)

Immagini il cortese lettore una serata mite d’autunno, allorché la gente si dispone a celebrare l’inizio delle belle ore di otium che gli ultimi giorni della settimana promettono a chiunque risieda non solo nel nostro paese, ma in tutti gli stati dell’Occidente industrializzato, ore già care fin dall’attesa oltre che nel momento della fruizione; Continua a leggere

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Giovanni Testori

Ugo Gervasoni – Le voci dei maestri

Giovanni Testori

testori

(1923 – 1993)

Per dare un’etichetta allo stile narrativo delle prime opere di Giovanni Testori è stato spesso usato l’aggettivo “espressionista”. I racconti de Il ponte della Ghisolfa e di La Gilda del Mac Mahon, però, non appaiono caratterizzati dalla grottesca esasperazione dei volti che divengono smorfie e dalla violenta intensità del colore che esplode sulle tele di Kirchner, di Nolde, di Dix, di Grosz (per citare qualche nome del cosiddetto movimento espressionista) e che sono funzionali alla feroce volontà di critica e protesta sociale che animava quegli artisti. Continua a leggere

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William Shakespeare, III

Ugo Gervasoni – Le voci dei maestri

William Shakespeare, III

La Tempesta

La Tempesta

La Tempesta, composta negli ultimi anni creativi di William Shakespeare, tra il 1609 e il 1610, e sicuramente rappresentata alla corte di Giacomo I Stuart, successore di Elisabetta Tudor, nel 1611, in occasione delle nozze della figlia Elisabetta con l’elettore palatino Federico V, è uno dei drammi più famosi e più perfettamente compiuti del genio di Stratford-on-Avon. Continua a leggere

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Platone

Ugo Gervasoni – Le voci dei maestri

Platone

platone

(428/427 a.C. – 348/347 a.C.)

Poco oltre la metà del suo fluviale, effervescente romanzo Humboldt’s Gift (Il dono di Humbolt) 1975, Saul Bellow, parzialmente riconoscibile sotto la maschera comunque caricaturale del protagonista Charles Citrine, si chiede, facendo ricorso ancora una volta alla sua parte intellettuale più appassionata e investigativa, quale sia il significato della vita, se le scienze esatte e sempre più sofisticate del XX secolo, dalla matematica all’astrofisica, ci abbiano aiutato a trovare risposte definitive. Continua a leggere

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Tucidide

Ugo Gervasoni – Le voci dei maestri

Tucidide

Thucydides

(c. 460 a.C. – 399/396 a.C. )

La guerra del Peloponneso, il conflitto che per trenta anni tenne occupate le città di Atene e Sparta l’una contro l’altra; il conflitto che segnò insieme il momento di massima potenza e creatività della Grecia come centro politico del mondo e l’inizio della sua decadenza – glossa sin troppo umana del sapienziale frammento di Eraclito che il conflitto è padre di tutte le cose; Continua a leggere

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Jonathan Franzen

Ugo Gervasoni – Le voci dei maestri

Jonathan Franzen

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(1959)

Ho fatto la conoscenza di questo scrittore (nato a Western Springs, cittadina poco distante da Chicago), nella sua veste di saggista, immediatamente apprezzando l’intensità della sua prosa, la chiarezza e la passione del suo argomentare, qualità tutte che non sempre si trovano riunite con tale armoniosa pregnanza in un autore. Continua a leggere

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Fëdor Dostoevskij, II

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Fëdor Dostoevskij, II

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(di misfatti e di penitenze)

Può accadere, al momento in cui si chiude e posa il voluminoso romanzo Delitto e castigo (pubblicato da Fëdor Dostoevskij nel 1866), dopo avere letto le ultime considerazioni dell’autore sulla straordinaria vicenda del giovane idealista-nichilista Rodion Romanovič Raskol’nikov, Continua a leggere

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Fëdor Dostoevskij

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Fëdor Dostoevskij

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(1821 – 1881)

Il nome dello scrittore Fëdor Dostoevskij è di quelli che incutono riverenza. Immaginare di incontrarlo nei Campi Elisi, ci porta a credere che avvertiremmo anche noi ciò che provò il giovane Socrate allorché si trovò faccia a faccia con il sapiente Parmenide, in visita, nella sua età avanzata ed in compagnia del discepolo Zenone, ad Atene: Continua a leggere

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George Orwell

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George Orwell

George_Orwell

(1903 – 1950)

Verso la fine dell’anno 1936, Eric Arthur Blair (il cui nome di penna è divenuto parte del vocabolario non solo della lingua inglese, ma della cultura internazionale, tanto che in ogni idioma si può parlare di una situazione o di un sistema “orwelliani” sicuri di essere capiti: il romanzo Nineteen Eighty-Four [1984] figura tra le opere letterarie più lette dei nostri tempi), decise di recarsi in Spagna Continua a leggere

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Dino Campana

Ugo Gervasoni – Le voci dei maestri

Dino Campana

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(1885 – 1932)

Fioriva la poesia in Dino Campana come dono della vista. Le più intense delle sue percezioni liriche sono nutrite delle immagini vivissime che i suoi occhi registravano e che la sua sensibilità artistica ricreava nelle cadenze maliose dei suoi Canti Orfici: “Nel tepore della luce rossa, dentro le chiuse aule dove la luce affonda uguale dentro gli specchi all’infinito fioriscono sfioriscono bianchezze di trine”; Continua a leggere

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L’Amicizia

Ugo Gervasoni – Le voci dei maestri

L’Amicizia

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(incipit del trattato Laelius De Amicitia di Cicerone)

La voce dell’Amicizia non riempie l’aria di strepito e di turbamento, non ama fare sfoggio di coltivati gorgheggi: il tono che la contraddistingue, e in cui si riconosce, è discreto senza essere timido e sicuro senza apparire artificioso; Continua a leggere

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Jack London

Ugo Gervasoni – Le voci dei maestri

Jack London

JackLondon

(1876 – 1916)

Il giorno 7 settembre 1876, in San Francisco, una donna ormai indurita dalle prove della vita, madre di un bimbo di otto mesi il cui presunto padre, il professor William H. Chaney, membro della Associazione degli astrologi, l’aveva abbandonata, sposava secondo le leggi dello stato della California John London, uomo serio ed affabile, a capo di una impresa appaltatrice. Continua a leggere

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Stendhal, II

Ugo Gervasoni – Le voci dei maestri

Henri Beyle, Stendhal, II

Stendhal

(1783 – 1842)

La curiosità intellettuale che ci spinge alla conoscenza e all’interpretazione del mondo , tanto più forte quanto più esso pare nascondersi nell’atto stesso di offrirsi ai nostri occhi sorpresi e come turbati, prese forma, in Stendhal, non solo in romanzi straordinari che sanno donare la felicità a chi vi dedica un poco del proprio tempo (dono preziosissimo), ma anche in opere autobiografiche nelle quali lo scrittore si propose di gettare un poco di luce sull’arcano che è, per ognuno di noi, la nostra vita singola. Iniziò a comporre i suoi Souvenirs d’égotisme (Ricordi di egotismo) nel 1832, e dal 1835 si dedicò alla Vie de Henry Brulard (Vita di Henry Brulard), per verificare se “facendo il mio esame di coscienza con la penna in mano, riuscirò a giungere a qualcosa di concreto (positif) e che resti vero a lungo (longtemps vrai) per me.”  Continua a leggere

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Wolfgang A. Mozart

Ugo Gervasoni – Le voci dei maestri

Wolfgang A. Mozart

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(1756 – 1791)

L’opera lirica Don Giovanni di Wolfgang Amadeus Mozart, rappresentata per la prima volta a Praga il 27 ottobre 1787, si concentra, rivestendoli di nuovo splendore, su alcuni episodi della carriera del libertino introdotto originariamente nella letteratura e nell’immaginario dell’Europa dalla commedia El burlador de Sevilla di Tirso de Molina (1584-1648), maestro del teatro del Siglo de oro spagnolo. Continua a leggere

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William Shakespeare, II

Ugo Gervasoni – Le voci dei maestri

William Shakespeare, II

 Julius-Caesar murdered

(su Julius Caesar)

Il cittadino svizzero Thomas Platter, in visita a Londra nel 1599, scrisse nel suo diario: “Il 21 settembre dopo colazione, verso le due del pomeriggio, io e i miei compagni abbiamo attraversato il fiume e lì, nell’edificio con il tetto di paglia, abbiamo visto recitare ottimamente da una quindicina di persone la tragedia del primo imperatore Giulio Cesare.” Continua a leggere

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Honoré de Balzac, II

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Honoré de Balzac, II

balzac rodin

(Balzac visto da Rodin)

Nello splendido periodo di fioritura artistica spagnola, noto come El siglo de oro, che vide la nascita dell’immortale eroe Don Chisciotte, che da allora cavalca per le leggendarie contrade della Mancia e dell’Aragona e della Catalogna Continua a leggere

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Giacomo Leopardi, III

Ugo Gervasoni – Le voci dei maestri

Giacomo Leopardi, III

luna 1

(Il Conte, il Pastore, l’Asia)

Tra i Canti del Conte Giacomo Leopardi che con più costanza e con più dolcezza mi tornano alla mente e mi fanno più ricche e più intense le ore è il Canto Notturno di un Pastore Errante dell’Asia, composto in Recanati tra l’ottobre del 1828 e l’aprile del 1830. Continua a leggere

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Aurelio Agostino

Ugo Gervasoni – Le voci dei maestri

Aurelio Agostino

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(354 – 430)

Dal 397 al 400 d.C. ad Ippona, sulla costa dell’Africa del nord, il vescovo della città, pur impegnato in un’attività pastorale intensa e sfibrante, caratterizzata da predicazioni, opere caritative, confutazioni, in materia di ortodossia e di eresia, di manichei e donatisti e pelagiani, trova (o inventa) il tempo per comporre un libro che spieghi a se stesso e al mondo il proprio itinerario esistenziale. Continua a leggere

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James Joyce, III

Ugo Gervasoni – Le voci dei maestri

James Joyce, III

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(due opere minori)

La riproduzione anastatica, in visione qui sopra nel suo paragrafo iniziale, del taccuino intitolato Giacomo Joyce, (di cui si è fatto breve cenno in un precedente articolo sullo scrittore irlandese) fa provare al lettore un senso di raccoglimento, Continua a leggere

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La Bellezza

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La Bellezza

Venere botticelli

(For I forget myself. I do indeed

Before each genuine beauty –

Invero mi scordo di me stesso. Così mi accade

Di fronte ad ogni genuina bellezza –

Delmore Schwartz)

La bellezza, che ora in una veste ora in un’ altra ora senza veste seduce e guida i sogni dei mortali, ha una sua voce dolcissima, dalle infinite tonalità, che lancia i suoi richiami maliosi e irresistibili all’orecchio e all’occhio intellettuali. Continua a leggere

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Mario Vargas Llosa, II

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Mario Vargas Llosa, II

Mario_Vargas

(Arequipa, Perù, 1936)

L’occhio critico di Vargas Llosa va lontano ed in profondità. Già dalle prime pagine, che trasudano del caldo amore che nutre per la letteratura, cui ha dedicato la sua vita, il discorso si allarga a quegli eventi “culturali” del nostro tempo che sono le “adunate oceaniche” Continua a leggere

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Mario Vargas Llosa, I

Ugo Gervasoni – Le voci dei maestri

Mario Vargas Llosa, I

Mario_Vargas_Llosa

(Arequipa, Perù, 1936)

Mario Vargas Llosa è un prolifico narratore dallo spiccato talento affabulatorio: esordì giovane con un romanzo di notevole spessore drammatico, La ciudad y los perros (La città e i cani), in cui non erano assenti quelle inquietanti atmosfere che un lettore europeo poteva avere conosciuto nelle pagine crude de I turbamenti del giovane Törless, Continua a leggere

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Carlos Castaneda, II

Ugo Gervasoni – Le voci dei maestri

Carlos Castaneda, II

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(1925? – 1998)

Incontro dopo incontro, nelle vaste pianure dell’Arizona o tra le aspre montagne del Messico, don Juan illustrò a Carlos il sentiero del guerriero, caratterizzato dalla presenza costante dell’impeccabilità e dell’intento incrollabile nella condotta della propria vita. Continua a leggere

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Carlos Castaneda, I

Ugo Gervasoni – Le voci dei maestri

Carlos Castaneda, I

castaneda

(1925? – 1998)

Una sera di ottobre di alcuni anni fa, la cui data precisa non è di particolare importanza, camminavo per le strade maliose di Helsinki, la capitale della Finlandia, ammantata di rara avvenenza ai miei occhi. Assaporavo ogni singolo passo, apprezzando l’unicità, non solo la armonica serie, dei vari momenti della mia avventura nel settentrione dell’Europa. Continua a leggere

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Blake e Coleridge

Ugo Gervasoni – Le voci dei maestri

Blake e Coleridge

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(un incontro)

William Blake morì nel 1827. Nel giorno del suo trapasso volle eseguire il ritratto della moglie, “perché sei stata un angelo per me,” e cantò inni di felicità che, confessò a chi gli faceva compagnia in quel giorno estremo del suo esilio su questa terra, non erano di sua composizione, ma gli venivano da lontano. Continua a leggere

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I luoghi: Descartes

Ugo Gervasoni – Le voci dei maestri

I luoghi: Descartes

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(città natale di Cartesio)

A metà strada tra le città di Tours e di Poitiers, è la cittadina di Descartes, anticamente chiamata La Haye, in parte adagiata lungo il fiume Creuse, che crea affascinanti scorci ove l’armonia della natura, fatta di alberi di varia specie e di verdi riviere che si specchiano nelle calme acque, Continua a leggere

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I luoghi: Roncisvalle

Ugo Gervasoni – Le voci dei maestri

I luoghi: Roncisvalle

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(778, la retroguardia dell’esercito di Carlomagno è annientata)

Prendendo la strada in salita che si diparte, a sinistra, dal centro della cittadina di St. Jean Pied-de-Port, e sale, dapprima in lieve pendio poi con più decisa pendenza verso i colli pirenaici, si entra, oltrepassando il confine tra Francia e Spagna, nella Navarra, accolti da ombrose verzure tagliate a intervalli irregolari da freschi torrenti che scendono a salti verso il fondovalle. Continua a leggere

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John Keats

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John Keats

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(1795 – 1821)

John Keats morì giovane, nell’appartamento che fiancheggia la Scalinata che sale da Piazza di Spagna alla Trinità dei Monti, a Roma. Sapeva che nel suo sangue scorreva il male che aveva reciso la vita del fratello Tom quando questi aveva solo diciotto anni. Continua a leggere

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William Wordsworth

Ugo Gervasoni – Le voci dei maestri

William Wordsworth

Wordsworth

(1770 – 1850)

Il volto austero, spesso atteggiato a pose meditative o assorte, di William Wordsworth, non è di quelli che fanno nascere improvvise simpatie: assai più facilmente, forse, ci si sente disposti ad ascoltare le parole che escono dalle labbra, tumide e semiaperte nei ritratti che di lui abbiamo, che furono di Samuel Taylor Coleridge, Continua a leggere

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Sallustio

Ugo Gervasoni – Le voci dei maestri

Sallustio

sallustio

(86 a. C. – 36/35 a. C.)

L’opera di Gaio Sallustio Crispo nota come De coniuratione Catilinae (La congiura di Catilina) con la quale nasce, di fatto, la grande storiografia latina che poi annovererà tra i suoi nomi immortali Tito Livio e Tacito, inizia con una riflessione che non si dimentica: Continua a leggere

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John Milton

Ugo Gervasoni – Le voci dei maestri

John Milton

milton

1608 – 1674)

Il terzo libro del Paradiso perduto si apre con una solenne invocazione alla luce, progenie primogenita del cielo, forse addirittura raggio co-eterno con il Padre:

poiché Dio è luce,

E solo nella luce inattingibile

Ebbe dimora dall’eternità, in te dimorò,

Fulgida emanazione di fulgida essenza increata! Continua a leggere

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Van Gogh, II

Ugo Gervasoni – Le voci dei maestri

Van Gogh, II

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(la chiesa di Auvers)

Poco a nord di Parigi è la cittadina di Auvers-sur-Oise, che si allunga sulle sponde del tranquillo fiume che le dona parte del suo nome. Nel centro del borgo storico, poco distante dalla piazza dove si erge l’imponente Hotel de Ville, ovvero il palazzo del comune, è l’Auberge Ravoux, tuttora attivo come ristorante dalla preziosa, raffinata cucina e dalla curiosa clientela. Qui, in una stanzuccia sotto il tetto, Continua a leggere

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Annibale al Trasimeno

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Annibale al Trasimeno

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(217 a. C.)

Al termine di un viaggio di cinque mesi, iniziato a Cartagena, in Spagna, e segnato dalla leggendaria ed epocale traversata delle Alpi, Annibale scese in Italia, devastando il territorio dei Taurini. Aveva con sé 20.000 fanti, 6.000 cavalieri, e i pochi elefanti sopravvissuti alle nevi e ai crepacci della catena alpina. Il generale cartaginese era riuscito Continua a leggere

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Giacomo Leopardi, II

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Giacomo Leopardi, II

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(1798 – 1837)

Quando Giacomo Leopardi riuscì sciogliere il duro grumo di dolore che pareva ostacolargli il respiro, stemperandolo nei ritmi soavi dei suoi Canti, accadde qualcosa di straordinario e insieme di eroico: il giovane poeta italiano, il maggiore del suo tempo, Continua a leggere

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La Natura

Ugo Gervasoni – Le voci dei maestri

La Natura

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(ovvero, la bellezza non umana)

Concede le sue grazie la Natura (e così si dice faccia anche la Verità) solo a colui che a lei si dedica con animo schietto e trasparenza di intenti; a colui che non sente come fatica insostenibile e ingrata le ore trascorse a risalire valli e pendii per lasciarsi infine alle spalle la disarmonia urbana; a colui che ama scelta o nulla compagnia quando vi si immerge. Continua a leggere

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Il Mare

Ugo Gervasoni – Le voci dei maestri

Il Mare

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(nascita e durata inscrutabili)

Antico, sono ubriacato dalla voce

ch’esce dalle tue bocche quando si schiudono

come verdi campane e si ributtano

indietro e si disciolgono. Continua a leggere

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Lewis Carroll

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Lewis Carroll

LewisCarroll

(1832 – 1898)

Il reverendo Charles Lutwidge Dodgson, divenuto col passare degli anni e forse controvoglia famoso sotto lo pseudonimo di Lewis Carroll, costituisce un illustre esempio della sorprendente varietà della società vittoriana. Continua a leggere

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I luoghi e l’arte

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I luoghi e l’arte

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Nel suo dialogo platonico, La decadenza della menzogna, scritto nel 1889, Oscar Wilde sostenne, nel suo inimitabile stile brillante e provocatorio, che la Vita imita l’Arte molto più di quanto l’Arte imiti la Vita. Considerando poi i rapporti tra la Natura e l’Arte, Wilde continuava dicendo che Continua a leggere

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Jack Kerouac

Ugo Gervasoni – Le voci dei maestri

Jack Kerouac

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(1922 – 1969)

Dopo avere percorso per mesi le strade d’America e avere conosciuto ed amato il sogno di infinito che esse sanno sussurrare a chi sosta per un momento ai loro lati e sente che gli occhi e il petto si riempiono della seducente malia che è insieme nostalgia delle origini e profumo di libertà e di avventura, Continua a leggere

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Alessandro Manzoni, II

Ugo Gervasoni – Le voci dei maestri

Alessandro Manzoni, II

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(1785 – 1873)

Il grande poeta e narratore argentino Jorge Luis Borges fa dire al protagonista di una sua bella novella intitolata Utopía de un hombre que está cansado, che si trova nella raccolta El libro de arena (1975), che ciò che importa non è tanto leggere un libro, quanto ri-leggerlo. L’osservazione Continua a leggere

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Henry Fielding

Ugo Gervasoni – Le voci dei maestri

Henry Fielding

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(1707 – 1754)

Nel 1740 fu pubblicato il romanzo epistolare Pamela, di Samuel Richardson: vi si narrano le peripezie di una ragazza quindicenne, Pamela Andrews, che, dotata di innata moralità e di determinazione non priva di calcolo, Continua a leggere

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James Joyce, II

Ugo Gervasoni – Le voci dei maestri

James Joyce, II

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(1882 – 1941)

Colpisce in James Joyce, che come nessun altro artista ha riflettuto, narrando, sulla natura della sua attività creativa, il percorso coerente e insieme straordinario della sua opera. Mosso inizialmente da un evidente, prezioso afflato lirico, lo scrittore giunse ad abbracciare il mito e l’epica, rielaborati secondo i timbri del comico. Continua a leggere

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James Joyce, I

Ugo Gervasoni – Le voci dei maestri

James Joyce, I

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(1882 – 1941)

Di James Augustine Joyce, come di molti autori della letteratura mondiale di questo e di altri secoli, è più noto il nome che le opere. Questa figura di artista esule, segnato dall’anelito alla ribellione, sbocciato su un terreno cattolico coltivato con cura dal magistero gesuitico, Continua a leggere

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Daniel Defoe

Ugo Gervasoni – Le voci dei maestri

Daniel Defoe

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(1660 – 1731)

Quando si pensa ad un romanzo si visualizza immediatamente una storia che coinvolge diversi personaggi, le loro interrelazioni basate su reciproca attrazione e repulsione, amore e odio, e ci aspettiamo che le vicende narrate siano ritmate da un dialogato che dia vivacità al racconto: Continua a leggere

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Jonathan Swift

Ugo Gervasoni – Le voci dei maestri

Jonathan Swift

swift young

(1667 – 1745)

Nell’ultimo capitolo del quarto libro dei Viaggi di Gulliver, nel quale si conclude in modo spietato e definitivo la più amara anatomia della natura umana che sia mai stata tentata in campo letterario, il capitano Lemuel Gulliver, ritornato in patria dal paese degli Houyhnhnm, i saggi cavalli che, Continua a leggere

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William Shakespeare

Ugo Gervasoni – Le voci dei maestri

William Shakespeare

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(1564 – 1616)

Tra il 1592 e il 1593, dopo avere completato il ciclo dei tre drammi dedicati a Enrico VI, nei quali il duca di Gloucester, futuro Riccardo III, acquistava gradualmente primaria importanza, Shakespeare decise di completare il suo studio poetico e interpretativo Continua a leggere

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I luoghi: S. Zeno

Ugo Gervasoni – Le voci dei maestri

I luoghi: S. Zeno

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(X -XI secolo)

Al fondo della vasta piazza silenziosa, a chiuderne il lato orientale volto verso l’Adige, che in breve percorso forma le due strette anse tra il Ponte Scaligero e il Teatro Romano, è la basilica di S. Zeno Maggiore, gioiello senza pari dell’architettura romanica di Verona, e tra i più preziosi dell’Italia tutta. Continua a leggere

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Alfred Tennyson

Ugo Gervasoni – Le voci dei maestri

Alfred Tennyson

tennyson

(1809 – 1892)

Intorno al 420 dopo la nascita di Cristo, un religioso siriaco chiamato Simeone lasciò il monastero di Eusebona, tra Antiochia ed Aleppo, e decise di stabilirsi presso Telamissos, Continua a leggere

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Robert Browning

Ugo Gervasoni – Le voci dei maestri

Robert Browning

NPG 1898,Robert Browning,by Michele Gordigiani

(1812 – 1889)

In una mattina di sole del giugno 1860, al tempo della sua residenza in Italia con la moglie Elisabeth Barrett Browning, e con il figlio Pen allora di 11 anni, Robert Browning fu spinto dalla possente mano del caso in un affollato mercato di anticaglie di Piazza San Lorenzo a Firenze. Continua a leggere

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Emily Brontë

Ugo Gervasoni – Le voci dei maestri

Emily Brontë

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(1818 -1848)

Da quanto poteva trasparire al di fuori della sua persona, la vita di Emily Brontë non sembrò segnata da gioie particolari e da calore di affetti: riservata fino all’ostinato ritrarsi dal mondo, forte della propria unicità, si sentiva resistente come i coriacei arbusti che sapevano affrontare la violenza dei venti che infuriavano sulla brughiera dove lei visse. Continua a leggere

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Giacomo Leopardi

Ugo Gervasoni – Le voci dei maestri

Giacomo Leopardi

leopardi

(1798 – 1837)

Il 1819, il ventunesimo di sua vita, invece di regalargli il compiuto godimento delle forze vitali di cui indistintamente aveva presentito il fascino nella sua fanciullezza, fu un anno spaventoso e disperatissimo per Giacomo Leopardi: Continua a leggere

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Bob Dylan

Ugo Gervasoni – Le voci dei maestri

Bob Dylan

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(An American Legend)

(per mia figlia, con me ai concerti di Bergamo e Padova)

Chi si sia recato per tempo ad uno dei luoghi deputati alle manifestazioni musicali nelle nostre città, sia arena aperta al cielo stellato, sia vasto edificio coperto solitamente destinato ad ospitare attività sportive, e, trovato il proprio posto, si sia pazientemente disposto ad aspettare l’inizio del concerto, Continua a leggere

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Jerome D. Salinger

Ugo Gervasoni – Le voci dei maestri

J. D. Salinger

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(1919 – 2010)

Se ti rammenti, Lettore, dell’elusivo autore di Il tesoro della Sierra Madre, di cui si è parlato in questa rubrica, non ti sorprenderanno alcuni elementi della vita di Jerome David Salinger, lo scrittore americano che inventò il personaggio di Holden Caulfield nel suo primo romanzo The Catcher in the Rye Continua a leggere

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Dante

Ugo Gervasoni – Le voci dei maestri

Dante Alighieri

dante

(1265 – 1321)

Giunto al fondo dell’immenso tenebroso pozzo infernale, dopo avere sceso tutti i cerchi della umana degradazione e avere incontrato, nonostante ciò, personaggi di straordinaria nobiltà e rettitudine come Francesca da Rimini, dolce e bella ed eterna ispiratrice di passione; Continua a leggere

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Tintoretto

Ugo Gervasoni – Le voci dei maestri

Jacopo Robusti, Tintoretto

Tintoretto

(1518 – 1594)

Tra le meraviglie che Venezia conserva e offre a chi non si stanca di percorrere le sue calli anguste che ora sboccano in un campiello ove ancora si conservano le atmosfere che possono avere arrestato lo sguardo di Vittore Carpaccio, ora finiscono inaspettatamente, bruscamente, nelle acque poco invitanti di un canale secondario, è la Scuola Grande di San Rocco. Continua a leggere

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Fuochi d’artificio

Ugo Gervasoni – Le voci dei maestri

Fuochi d’artificio

(per ogni periodo dell’anno)

E’ tradizione, allorché l’anno solare volge al suo termine, salutare il nuovo inizio della rivoluzione terrestre intorno al pianeta / che mena dritto altrui per ogni calle (secondo le parole di Dante), facendo esplodere petardi e botti. Continua a leggere

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M. C. Escher

Ugo Gervasoni – Le voci dei maestri

M. C. Escher

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(1898 – 1972)

Ad un certo punto della sua carriera, confessò Maurits Cornelis Escher, il disegnatore e incisore olandese che seppe evocare la magia dei mondi impossibili, il desiderio di ricercare studiare padroneggiare le difficoltà tecniche delle arti grafiche perse d’importanza ai suoi occhi. Continua a leggere

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Thomas De Quincey

Ugo Gervasoni – Le voci dei maestri

Thomas De Quincey

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(1785 – 1859)

Può sembrare sorprendente che uno scrittore inglese del periodo romantico che divenne oggetto di quasi morbosa curiosità e popolarità in seguito alla pubblicazione di due lunghi saggi autobiografici intitolati Confessioni di un mangiatore d’oppio inglese, Continua a leggere

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I luoghi: Canne della Battaglia

Ugo Gervasoni – Le voci dei maestri

I luoghi: Canne della Battaglia

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(2 agosto 216 a.C.)

Percorrendo le strade che solcano il Tavoliere della Puglia e che permettono di raggiungere e contemplare siti dal fascino straordinario come Castel del Monte, Continua a leggere

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Stendhal

Ugo Gervasoni – Le voci dei maestri

Henri Beyle, Stendhal

stendhal

(1783 – 1842)

Tra le grandi personalità che amerei incontrare se fosse possibile viaggiare nel tempo, ovvero se esistessero i mitici Campi Elisi ove, oltre la morte, fosse finalmente possibile coltivare il bello e il vero in eletta compagnia, sicuramente è Stendhal, Continua a leggere

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Stefano D’Arrigo

Ugo Gervasoni – Le voci dei maestri

Stefano D’Arrigo

D'Arrigo

(1919 – 1992)

Per vastità di disegno e ricchezza linguistica, non soltanto per la straordinaria mole di quasi 1.300 pagine, Horcynus Orca di Stefano D’Arrigo, non ha eguali nella letteratura italiana del secolo XX. Continua a leggere

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Pier Paolo Pasolini

Ugo Gervasoni – Le voci dei maestri

Pier Paolo Pasolini

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(1922 – 1975)

Scrisse Alberto Moravia, commemorando la scomparsa del carissimo amico, dialogando e polemizzando con il quale cercò di spargere la luce della ragione e del rigoroso impegno a comprendere su alcuni degli anni più bui della recente storia del nostro Paese: Continua a leggere

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Aleksandr Solženicyn

Ugo Gervasoni – Le voci dei maestri

Aleksandr Solženicyn

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(1918 – 2008)

Aleksandr Isaevic Solženicyn fu operato per l’asportazione di un tumore maligno all’inguine il 12 febbraio 1952, quando ancora era un detenuto politico. Ebbe una ricaduta con metastasi negli anni 1953 e 1954. Continua a leggere

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Vincent Van Gogh

Ugo Gervasoni – Le voci dei maestri

Vincent Van Gogh

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l’artista visto da Toulouse-Lautrec

(1853 – 1890)

I quadri di Vincent Van Gogh non lasciano indifferente lo spettatore, e forse non è difficile scoprire la forza che li sorregge. E’ come se quelle pennellate pastose di colore indimenticabile, Continua a leggere

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I luoghi: Cornello

Ugo Gervasoni – Le voci dei maestri

I luoghi: Cornello

cornello

(m. 482 s.l.m.)

A seguito del sorprendente sviluppo industriale ed economico che iniziò nel decennio in cui la vita rinasceva dopo le violenze e le morti del quinquennale orrido inverno del secondo conflitto mondiale, Continua a leggere

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Carlo Michelstaedter

Ugo Gervasoni – Le voci dei maestri

Carlo Michelstaedter

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(1887 – 1910)

 Alla biblioteca civica di Gorizia è il fondo Michelstaedter. Fui ospitato in una saletta appartata in cui sono conservati manoscritti e disegni di Carlo, una delle figure più affascinanti Continua a leggere

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Giovanni Boccaccio

Ugo Gervasoni – Le voci dei maestri

Giovanni Boccaccio

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(1313 – 1375)

La quarta giornata del Decameron, uno dei capolavori della narrativa europea di tutti i tempi, si apre in modo imprevisto e toccante. Ancora nelle orecchie del lettore echeggiano

Continua a leggere

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I luoghi: La Tour Montaigne

Ugo Gervasoni – Le voci dei maestri

I luoghi – La Tour Montaigne

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(XIV secolo)

Percorrendo la strada che da Bergerac (ove ci si imbatte, naturalmente, nella statua del personaggio dal celeberrimo naso) conduce ad ovest, verso Bordeaux e l’Oceano Atlantico, strada che scorre piacevole tra vigneti Continua a leggere

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Bruce Springsteen

Ugo Gervasoni – Le voci dei maestri

Bruce Springsteen

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(The Boss)

Ci sono artisti, tanto rari quanto preziosi, che sanno suggerire e incoraggiare in modo spettacolare due aspetti della nostra risposta emotiva all’arte che sembrano, in apparenza, contraddittori, tali che l’uno escluda necessariamente l’altro: intendo Continua a leggere

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I luoghi: Villa Shelley

Ugo Gervasoni – Le voci dei maestri

I luoghi: Villa Shelley

villa shelley

Poco dopo avere parlato dell’incantevole Percy Bisshe Shelley in queste colonne, ho partecipato ad un evento poetico organizzato a San Terenzo, presso Lerici, il giorno 18 maggio 2013, Continua a leggere

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George Gordon, lord Byron

Ugo Gervasoni – Le voci dei maestri

George Gordon, lord Byron

Byron

(1788 – 1824)

E’ una pratica diffusa del mondo convenzionale adottare formule di comodo per etichettare personaggi o situazioni che metterebbero in discussione la stabilità dell’ordine costituito. Si usa, ad esempio, lo stilema “gioventù bruciata” Continua a leggere

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Percy Bisshe Shelley

Ugo Gervasoni – Le voci dei maestri

Percy Bisshe Shelley

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(1792 – 1822)

Il giovanissimo Percy Bisshe Shelley amava le atmosfere create dalla luce della luna e da quella delle candele, si travestiva per interpretare i personaggi soprannaturali che la sua immaginazione evocava Continua a leggere

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Samuel Taylor Coleridge

Ugo Gervasoni – Le voci dei maestri

Samuel Taylor Coleridge

Coleridge

(1772 – 1834)

Samuel Taylor Coleridge amava percorrere lunghe distanze a piedi. La sua prima epica escursione avvenne nel giugno 1794: il poeta, insieme con il giovane compagno di studi Continua a leggere

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Honoré de Balzac

Ugo Gervasoni – Le voci dei maestri

Honoré de Balzac

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(1799 – 1850)

 Da un certo momento della sua vita artistica, corrispondente all’anno 1834 della storia contemporanea, Honoré de Balzac coltivò un sogno ambiziosissimo, quello di creare con la sua opera di romanziere il mondo, Continua a leggere

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Edgar Allan Poe

Ugo Gervasoni – Le voci dei maestri

Edgar Allan Poe

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(1809 – 1849)

Charles Baudelaire rimase affascinato dall’opera di Edgar Allan Poe; tradusse in francese una esauriente silloge dei suoi racconti, e dedicò allo scrittore americano saggi critici di fine interpretazione e di convinto elogio, Continua a leggere

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Alessandro Manzoni

Ugo Gervasoni – Le voci dei maestri

Alessandro Manzoni

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(1785 – 1873)

(per mio padre)

Negli anni dei banchi di scuola, noiosi se qualche paio di occhi vivaci non contraccambiano il nostro sguardo bramoso di vita, generalmente non si impara ad amare i classici. Continua a leggere

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Diego Velázquez

Ugo Gervasoni – Le voci dei maestri

Diego Velázquez

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(1599 – 1660)

Quando, muovendoci tra le affascinanti e ricche aule del vasto museo del Prado di Madrid, arriviamo alla maestosa sala che ospita la grande tela Las Meninas Continua a leggere

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Franz Kafka

Ugo Gervasoni – Le voci dei maestri

Franz Kafka

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(1883 – 1924)

Una mattina, risvegliandosi da sogni inquieti, Franz Kafka si trovò mutato in uno scrittore. Sapeva che era una trasformazione mostruosa, forse confusamente ricordò una poesia di Charles Baudelaire, Continua a leggere

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Gioacchino Rossini

Ugo Gervasoni – Le voci dei maestri

Gioacchino Rossini

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(1792 – 1868)

Nel febbraio del 1816 Gioacchino Rossini compose a Roma Il barbiere di Siviglia, libretto di Cesare Sterbini: gli occorsero, secondo quanto egli stesso confidò, tredici giorni. Gaetano Donizetti, Continua a leggere

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Charles Dickens

Ugo Gervasoni – Le voci dei maestri

Charles Dickens

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(1812 – 1870)

La fantasia narrativa di Charles Dickens si nutriva delle lunghe camminate che lo scrittore faceva per le strade di Londra: percorrendo i viali e attraversando le piazze che hanno reso celebre la metropoli, Continua a leggere

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Charles Baudelaire

Ugo Gervasoni – Le voci dei maestri

Charles Baudelaire

baudelaire

(1821 – 1867)

Il poeta americano Thomas Stearns Eliot riconosceva al poeta francese Charles Baudelaire il merito di avere, lui per primo, riscattato alla sfera dell’arte ciò che fino ad allora era stato considerato proibito, impossibile, sterile; Continua a leggere

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B. Traven

Ugo Gervasoni – Le voci dei maestri

B. Traven

traven

(?1882 – 1969)

 A B. Traven è riuscito ciò che nella civiltà delle comunicazioni di massa pare praticamente impossibile: vivere appartato facendo uscire verso l’esterno solo ciò che il suo animo di artista gli dettava. Continua a leggere

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William Blake

Ugo Gervasoni – Le voci dei maestri

  William Blake

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(1757 – 1827)

Giuseppe Ungaretti spese più di sette lustri – scrisse introducendo il suo lavoro al pubblico italiano – per rendere nella nostra lingua le cadenze e le visioni di William Blake, il poeta inglese Continua a leggere

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Oscar Wilde

Ugo Gervasoni – Le voci dei maestri

  Oscar Wilde

wilde

(1854 – 1900)

Oscar Wilde è soprattutto noto come il più brillante fustigatore della tarda età vittoriana. Ammantato della sgargiante esuberanza delle sue vesti e del suo ingegno, Continua a leggere

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Arthur Rimbaud

Ugo Gervasoni – Le voci dei maestri
Arthur Rimbaud

Rimbaud
(1854 – 1891)

 Al nome di Arthur Rimbaud la mente automaticamente corre al concetto di precocità, di forza, di esuberanza. “Abbiamo avuto la gioia di conoscere Arthur Rimbaud,” scrisse Paul Verlaine Continua a leggere

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Ernest Hemingway

Ugo Gervasoni – Le voci dei maestri

Ernest Hemingway

Ernest_Hemingway_1923

(1899 – 1961)

Ernest Hemingway è uno scrittore forse più noto per la serie di stereotipi che sono stati attaccati alla sua figura Continua a leggere

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