Tintoretto

Ugo Gervasoni – Le voci dei maestri

Jacopo Robusti, Tintoretto

Tintoretto

(1518 – 1594)

Tra le meraviglie che Venezia conserva e offre a chi non si stanca di percorrere le sue calli anguste che ora sboccano in un campiello ove ancora si conservano le atmosfere che possono avere arrestato lo sguardo di Vittore Carpaccio, ora finiscono inaspettatamente, bruscamente, nelle acque poco invitanti di un canale secondario, è la Scuola Grande di San Rocco. Ne rimasi folgorato, anni fa, quando visitai il luogo per la prima volta, in compagnia del primo dei miei amici. Più volte sono ritornato a quelle sale.

La città di Venezia era ricca di Confraternite di laici che, sotto il patrocinio di un Santo Protettore, perseguivano scopi di devozione o di tutela degli interessi di arti e professioni: l’Arciconfraternita Scuola Grande di San Rocco è tuttora in attività. Il 31 maggio 1564 il Consiglio della Scuola bandì un concorso per decorarne le pareti; invece di presentare un disegno, come fecero Giuseppe Salviati, Paolo Veronese, Federico Zuccari e Andrea Schiavone, Tintoretto produsse il dipinto di San Rocco in Gloria, terminato il 22 giugno dello stesso anno. I responsabili della Scuola si indispettirono, avendo commissionato disegni, non opere compiute. Tintoretto, secondo quanto ne scrive Giorgio Vasari, “rispose loro che quello era il suo modo di disegnare, che non sapeva fare altrimenti, e che i disegni e modelli delle opere avevano a essere a quel modo per non ingannare nessuno: e finalmente che se non volevano pagargli l’opera e le sue fatiche, che la donava loro; e così dicendo, ancor che avesse molte contrarietà, fece tanto che l’opera è ancora nel medesimo luogo.”

Questo aneddoto dà idea e della prontezza compositiva di Tintoretto e del suo carattere decisamente orgoglioso e impulsivo, già palesato in gioventù allorché lasciò la bottega di Tiziano in seguito a contrasti insorti con quel maestro.

Chi varca la soglia della Scuola si ritrova, quasi senza avvedersene, a ringraziare e benedire le Potenze del Fato per avere stabilito che il lavoro fosse assegnato a Jacopo Robusti. Si viene accolti dalla vasta sala al piano terreno che espone i lavori posteriori del maestro, grandi tele che vanno dall’Annunciazione all’Assunzione della Vergine. Tra i dettagli che arricchiscono le affollate scene concepite da Tintoretto, “ove per poco il cor non si spaura,” sono le figure appena accennate, con forti, sbrigative pennellate bianche, dei cavalieri della scorta dei Magi, nel quadro della Adorazione: sono presenze senza volto, corpi quasi trasparenti, forme evanescenti come tante vite che non hanno lasciato una traccia certa del loro andare per le strade del mondo. Sono sembianze umane e, allo stesso tempo, spettri dalla neutra natura. Hanno fatto parte di eventi nella storia della terra che sicuramente non hanno compreso: sono il segno personale di una pessimistica meditazione storica, forse, o un memento mori privo di lacrime: vengono alla memoria i versi di Dante nel XXIV dell’Inferno, a proposito di chi consuma la vita senza pensiero di cose nobili, così che cotal vestigio in terra di sé lascia, / qual fummo in aere ed in acqua la schiuma. E sono un tratto stilistico e retorico cui Tintoretto fa ricorso in altre tele, ripetutamente, allorché deve suggerire una folla in lontananza.

tintoretto adorazione

E’ la sala superiore, però, che regala le emozioni più forti e indimenticabili, dall’Adorazione dei pastori, con la scena all’interno della stalla disposta su due piani, in basso il bue e il pavone e la gente che accorre a testimoniare l’evento straordinario, e la Sacra Famiglia al piano superiore, la Vergine reclina sulla paglia, e le bellissime travature del tetto inondate dalla calda luce divina; alla Ultima Cena, costruita intorno ad una linea diagonale che, seguendo il tavolo attorno il quale siedono Cristo, in posizione eccentrica, e i discepoli, si apre ad ulteriori sorprendenti spazi sui lati e sullo sfondo, nei quali la luce si concreta e sgorga e si espande modellando scene e personaggi.

Quando pensiamo che ormai non siamo più in grado di contemplare altro, che i doni che Tintoretto ha profuso ci hanno colmato la vista e l’animo, ecco l’ultima sorpresa, la monumentale Crocifissione posta nella Sala dell’Albergo: la tela, delle dimensioni di m. 12, 24 x 5,36, ricrea la tragedia inaudita del dio umiliato e offeso per la redenzione dei suoi aguzzini. Come quell’episodio fu più che umano, così la costruzione della scena si protende oltre i limiti della tecnica pittorica: gruppi compatti di molti personaggi ricreano tutti i moti che uomini e donne possono sperimentare, dalla curiosità indifferente o arrogante dei cavalieri, al torpore intellettuale di chi è addetto a configgere le vittime sulle croci, al dolore disperato di chi amò quel Corpo che, pure appeso, sprigiona la luce che cancella, letteralmente, il legno dell’albero dell’infamia.

LACRICIFISSIONE_Tintoretto

L’occhio, che già si sentiva colmo, non si stanca di percorrere la vasta tela, scopre sempre nuovi dettagli, si nutre di forme e di colori. Improvvisamente si arresta su una figura curva in avanti a destra, simmetrica ad altra figura in posizione consimile a sinistra, quasi incredula di fronte a tanto orrore, al di sopra del ricetto dove due sgherri si giocano ai dadi le vesti di Gesù: è l’autoritratto dell’anziano artista, ed è bello e giusto sostare a lungo sulla sua persona, magari voltarsi un’ultima volta prima di lasciare la sala, per un finale sentito ringraziamento.

Un ulteriore elemento di interesse della Scuola di San Rocco è costituito dalle sculture lignee di Francesco Pianta il Giovane (1630-1690): tra il plastico torso di Furore e la caricaturale evocazione di Spia, ovvero Curiosità, spicca lo stupendo pannello che rappresenta una libreria, con i volumi che invitano la mano ad estrarli o raccomodarli, tanto è il virtuosismo della composizione.

Francesco Pianta - The Library

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