Ugo Gervasoni – Le voci dei maestri
Peter Frankopan
(1971)
Peter Frankopan, informa una sobria nota biografica in terza di copertina del libro The Silk Roads, A New History of the World (Le strade della seta), pubblicato nel 2015, è Professor of Global History presso l’Università di Oxford, Direttore del Centro di Ricerche Bizantine, e Senior Research Fellow al Worcester College di Oxford. Tra i suoi lavori scientifici si ricordano innanzitutto la traduzione dell’Alessiade (2009), un affascinante poema epico sull’imperatore Alessio I, composto dalla figlia Anna Comnena, sorprendente figura di primo piano, sia in politica che in letteratura, nella Bisanzio degli anni a cavallo dei secoli XI e XII; poi un denso volume dedicato alla prima crociata, The First Crusade, The Call from the East, dato alle stampe nel 2012. Cresciuto in una famiglia, come egli stesso ricorda, che gli apprese l’importanza di un ambiente multilingue al fine di conseguire consapevolezza della multiforme natura del mondo, Frankopan fu folgorato, ancora adolescente, dalla rivelazione che l’usuale narrazione della storia del pianeta, basata sulla centralità indiscutibile del Mediterraneo, era difettosa. Lo studio delle lingue russa e araba, intrapreso durante gli anni della scuola secondaria, gli confermò che il vero Mediterraneo – propriamente: “in mezzo alla terra” – era altrove, cioè non tra Africa ed Europa, ma nel cuore dell’Asia. Questa scoperta, all’origine di un percorso di studi appassionati e preziosi presso le biblioteche e i centri di ricerca più prestigiosi del mondo, gli ha infine permesso di scrivere il libro citato in apertura di questo articolo, “una sorprendente esplorazione delle forze che hanno causato la nascita e la caduta degli imperi, hanno determinato il flusso di idee e di merci, ed ora preannunciano una nuova alba nelle relazioni internazionali,” come dice la succinta presentazione dell’opera in quarta di copertina (edizione Bloomsbury, 2016).
Il titolo del volume deriva da una espressione coniata nel tardo XIX secolo dal geologo tedesco Ferdinand von Richtofen (zio di Manfred von Richtofen, il famoso Barone Rosso, leggendario comandante del Jadgeschwader 1 dell’Aviazione Imperiale, il quale abbatté 80 velivoli nemici prima che il suo Fokker rosso fosse a sua volta abbattuto dalla contraerea nemica sopra Amiens, nel 1918), che così chiamò la vasta rete delle vie di comunicazione che si dipartiva dalle steppe dell’Asia centrale verso l’occidente, lungo le quali si muovevano pellegrini e guerrieri e nomadi e mercanti, derrate alimentari e merci preziose: die Seidenstraße, appunto, le strade della seta. Queste strade, osserva Frankopan nella Prefazione, “fungono da sistema nervoso centrale del mondo, collegano popoli e luoghi, ma sono situate sotto l’epidermide, invisibili a occhio nudo.”
Il libro è ricchissimo, la lapidaria frase iniziale è memorabile: “Dall’inizio del tempo il centro dell’Asia fu il luogo dove si formarono gli imperi.” Subito il lettore incontra il re di Babilonia Hammurabi, che regnò 2.000 anni prima dell’era corrente, poi Erodoto, con il suo elogio dell’apertura mentale e dell’organizzazione socio-politica dei Persiani, che permise loro di creare una rete di comunicazioni che collegava la costa dell’Asia Minore con Babilonia, Susa, Persepoli: i dispacci del Gran Re impiegavano una settimana a coprire una distanza di 1.600 miglia, né erano ostacolati da neve, pioggia, calura o tenebre, commentava ammirato il padre della storia. Si affacciano via via alla ribalta i personaggi e i popoli che abbiamo anche noi studiato negli anni della scuola, Alessandro il Macedone, Roma, la Cina, Costantinopoli, ma da un punto di vista insolito: non centrali rispetto alla periferica posizione geografica del mondo orientale, ma dipendenti da esso, sia economicamente che dal punto di vista dell’immaginario. I sogni di ricchezza, di lusso, di civiltà si nutrivano della linfa dell’Asia centrale, che dirozzava i costumi romani anche se, si preoccupava Sallustio, “rammolliva lo spirito guerriero dei soldati.” (A causa di una curiosa svista tipografica, dato che la nota al testo in discussione rinvia correttamente al preciso passo del Bellum Jugurthinum, Sallustio viene chiamato poeta, nel primo capitolo. Peraltro, ho subito convenuto, come negare fascino poetico a tante pagine dello storico romano? Basta pensare al poderoso ritratto di Catilina, o all’ammaliante passo del De Coniuratione, LV, 3, in cui si fa riferimento al carcere Tulliano: “Est in carcere locus, quod Tullianum appellatur.” Addirittura Dante, che non sapeva di Sallustio, riecheggia quel ritmo sallustiano all’inizio del canto XVIII dell’Inferno, quando scrive: “Luogo è in inferno detto Malebolge,/tutto di pietra di color ferrigno,/come la cerchia che dintorno il volge.”)
Al ritmo narrativo affascinante come quello di un romanzo che non si può riporre, Peter Frankopan ci presenta la nascita di Costantinopoli, il commercio degli schiavi (sul quale prosperarono anche le repubbliche marinare italiane), le crociate, l’emergere del mondo islamico, l’apparizione di Genghis Khan e dei suoi mongoli, la peste, Tamerlano, Cristoforo Colombo e Vasco da Gama, Magellano, la crescita dell’impero spagnolo e poi di quello britannico e infine di quello americano, tutti riconsiderati alla luce dell’inevitabile rapporto con il centro dell’Asia. Gli ultimi capitoli, dopo l’esame delle due grandi guerre, si concentrano sulla crescente importanza delle ricchezze naturali presenti nel sottosuolo dell’Asia (gas e petrolio in particolare), che hanno determinato la politica del recentissimo passato, tra dittatori e fanatici e terroristi, sino ai nostri giorni. Un affresco complesso e completo, oltre che straordinariamente istruttivo. Concentrarsi su uno, piuttosto che su un altro, dei 25 capitoli del libro, rischierebbe di impoverire la rilevanza e la compattezza dell’opera. Preferisco riportare un passo che Frankopan inserisce verso la fine della Prefazione, perché mi pare renda in modo suggestivo la novità del libro: “La mitologia racconta che Giove, il padre degli dèi, liberò due aquile, ognuna alle due estremità della terra, e comandò loro di volare l’una verso l’altra. Una pietra sacra, l’omphalos – l’ombelico del mondo – fu posta dove si incontrarono, per permettere la comunicazione con la divinità. (…) Ricordo di avere studiato la mia carta geografica dopo avere udito questo racconto, chiedendomi dove le aquile si sarebbero incontrate. Immaginavo le due aquile che si dipartivano dalle coste dell’Atlantico occidentale e dalla costa Pacifica della Cina, in volo verso l’entroterra. Il punto preciso del loro incontro variava, a seconda della posizione delle mie dita quando iniziavo a calcolare distanze uguali da est e da ovest. Ma sempre finivo in qualche posto tra il mar Nero e l’Himalaya. (…) Il vero crogiuolo, il ‘Mediterraneo’ nel suo senso letterale – il centro del mondo – non era un mare che separa l’Europa dall’Africa settentrionale, ma era proprio nel cuore dell’Asia.”