Ugo Gervasoni – Le voci dei maestri
J. D. Salinger
(1919 – 2010)
Se ti rammenti, Lettore, dell’elusivo autore di Il tesoro della Sierra Madre, di cui si è parlato in questa rubrica, non ti sorprenderanno alcuni elementi della vita di Jerome David Salinger, lo scrittore americano che inventò il personaggio di Holden Caulfield nel suo primo romanzo The Catcher in the Rye (in italiano, Il giovane Holden), che ebbe, e tuttora gode di, un successo clamoroso. Sconcertato dalla popolarità che gli cadde addosso dopo la pubblicazione di quel libro nel 1951, Salinger scelse e cercò di difendere uno stile di vita recluso e concentrato sui temi della ricerca esistenziale che informano le sue storie, ed ebbe più di un conflitto con l’invadente, volgare curiosità della nostra società di massa, morbosamente attratta da tutto ciò che si distingue dalla mediocrità corrente, non per celebrarne il valore, purtroppo, ma per cercare di richiamare e ricondurre così all’ovile chi mai ne fece o farà parte.
Personalità complessa e irrequieta, Salinger rivelò un precoce talento letterario, prese parte alla offensiva alleata sul fronte europeo durante la seconda guerra mondiale, sbarcò a Utah Beach il 6 giugno 1944 (nel corso del leggendario e cruentissimo D-Day), entrò tra i primi nel campo di concentramento di Dachau, conobbe e intrattenne rapporti epistolari con Ernest Hemingway, che rimase impressionato dalle sue qualità artistiche, pubblicò nel 1951 il romanzo che definì, come meglio non si potrebbe, il disagio adolescenziale che tutti possiamo sperimentare crescendo. Il giovane Holden è narrato in prima persona singolare: l’autore, ormai adulto, compie il miracolo di fare parlare in modo convincente e vero un sedicenne confuso e complessato e spesso sgradevole (come sanno essere tutti gli adolescenti, a se stessi e agli altri), scrivendo un libro tra i più significativi del dopoguerra. In un’intervista del 1953 l’autore ebbe a dire: “La mia adolescenza somiglia molto a quella del ragazzo nel libro … E’ stato un sollievo raccontarla.”
Robert Louis Stevenson ebbe un successo artistico analogo facendo narrare L’isola del tesoro dal dodicenne Jim Hawkins, nel 1883; Mark Twain, un anno dopo, pubblicò il suo capolavoro Huckleberry Finn, indimenticabile storia picaresca che si sviluppa lungo il grande fiume Mississippi, anch’essa raccontata dalla voce di un ragazzo; la narrativa italiana può vantare l’affascinante Il visconte dimezzato, del 1952, il primo romanzo della trilogia di Italo Calvino in seguito intitolata I nostri antenati, che si sviluppa sui ritmi e i toni dei ricordi del bambino nipote del fantastico Visconte Medardo di Terralba. Tutte queste opere narrano in forma avventurosa i riti di passaggio che trasformano una creatura ancora acerba in un essere umano sulla strada della maturità. Nel caso del giovane Holden Caulfield, la storia termina con il protagonista sulla soglia di una possibile rinascita dopo le disavventure gli scacchi gli imbrogli di cui è vittima nel mondo dei “phonies”,cioè gli impostori e gli ipocriti e i senza cuore della società adulta, già bollati dal grande Nazareno come “sepolcri imbiancati.”
Se le vicende di Holden Caulfield sono state e sono, chissà, ancora significative per chi le ha comprese, sarà gradito il consiglio di dedicare un paio d’ore alla lettura della più breve storia Franny e Zooey, pubblicata in volume nel 1961. Il libretto evoca alcuni momenti della vita di due fratelli di New York, Franny, giunta ad un punto nevralgico della sua esperienza intellettuale emotiva spirituale, e Zooey, il fratello maggiore di lei di cinque anni, che cerca di aiutarla ad uscire da una preoccupante situazione di stallo, potenzialmente pericolosa per la salute fisica e mentale della fanciulla. Incidentalmente, i due fanno parte della estesa famiglia Glass, che appare anche in alcuni racconti, e su cui pare che Salinger abbia scritto altri romanzi, rimasti inediti, negli anni della sua vita appartata nella cittadina di Cornish, nel Massachussetts.
Diviso in due sezioni, il libro è ambientato principalmente in una sala di ristorante nella prima parte: lì Franny si accorge di non comprendere il mondo che la circonda, e di non esserne intesa: “gli altri” sono rappresentati dal ragazzo con cui Franny ha un legame sentimentale, Lane Coutell, che invano si sforza di promuovere la sua immagine agli occhi della giovane in preda alle ansie e ai tormenti della sua mente inquieta. Nella seconda metà, assai più lunga, la storia si compie nell’appartamento cittadino dei Glass: mentre gli imbianchini sono al lavoro in alcune stanze e l’odore della vernice e il disordine riempiono la casa, la madre e Zooey hanno una lunga conversazione nella sala da bagno; poi i due fratelli si confrontano in un meticoloso, generoso, mutuo esame di coscienza. Attraverso i loro dialoghi (tecnica narrativa di cui Salinger è maestro) il lettore conosce ampi brani della storia della famiglia Glass, e insieme viene messo a contatto con temi e problemi di natura filosofica e religiosa che Salinger aveva particolarmente a cuore. Abbondano i riferimenti a Gesù, a Buddha, al pensiero spirituale dell’Oriente, a Kafka, al filosofo stoico Epitteto, a Tolstoj, alla tradizione ascetica della Filocalia, in un turbinio di citazioni il cui correlativo narrativo è l’accurata descrizione di pressoché tutti gli oggetti di uso domestico che i protagonisti vedono e maneggiano nelle loro sovraffollate stanze.
Molte delle riflessioni sono stimolanti e vere: è inutile la conoscenza se è solo intesa come accumulazione di dati, esclama Franny, e non sappia condurre invece lungo un percorso che promuova un minimo di saggezza. Il libro termina con un inno all’amore che è tanto più suggestivo e memorabile quanto meno è sentimentale e artificioso: il fratello riesce infine a comunicare davvero con la sorella. Occorre fare del proprio meglio perché per qualcuno che noi non conosciamo, il nostro operare può essere molto, molto importante. E’ una presenza sfuggente, ma viva, come la Signora Grassa che il fratello Seymour soleva menzionare a Franny e Zooey. Conclude Zooey:
Ti rivelerò un segreto terribile .- mi stai ascoltando? Non c’è nessuno là fuori che non sia la Signora Grassa di Seymour… Non c’è nessuno in nessun luogo che non sia la Signora Grassa di Seymour Non lo sai? Ancora non sai questo maledetto segreto? E lo sai – ascoltami bene, adesso – lo sai o no chi è quella Signora Grassa?… Ah, piccola mia. E’ Gesù in persona. E’ proprio Gesù, piccola mia.
Sollevando gli occhi dall’ultima pagina del libro si prova il desiderio di avere incontrato l’autore, per sentire così dalla sua voce qualche ulteriore parola di guida e di compagnia intellettuale, al bisogno. Ci si chiede se, benché Salinger non amasse avere contatti con sconosciuti, avrebbe fatto forse eccezione per noi, avvertendo la sincerità della nostra richiesta di una parola autentica, la possibilità di una discreta amicizia.
Uno sguardo divertito dello scrittore