Ugo Gervasoni – Le voci dei maestri
I luoghi: Villa Shelley
Poco dopo avere parlato dell’incantevole Percy Bisshe Shelley in queste colonne, ho partecipato ad un evento poetico organizzato a San Terenzo, presso Lerici, il giorno 18 maggio 2013, nella villa sul mare che il poeta abitò nell’ultimo anno della sua breve, intensissima vita. L’edificio, originariamente noto come Villa Magni ed ora chiamato con il nome dell’illustre residente, è stato per l’occasione aperto al pubblico e agli studiosi o poeti che hanno dato vita alla manifestazione. Ho avuto il piacere di essere contattato dagli ideatori della memorabile serata, Massimo Maggiari, poeta e docente presso l’Università di Charleston, South Carolina, e Angelo Tonelli, poeta e autore di sapienziali traduzioni dai tragici greci; tra i partecipanti di prestigio, Giuseppe Conte, Tomaso Kemeny, e l’arpista Vincenzo Zitello, che ha incantato il pubblico con il suo appassionato virtuosismo: riporto il commento di un maestro di musica, “Dicono che l’arpa sia lo strumento degli angeli, ma Vincenzo è un mostro.” Il mio contributo è stato di leggere un brano dalla mia traduzione del notevole, a tratti stupendo, poemetto Julian e Maddalo, che Shelley compose dopo avere fatto visita a Lord Byron a Venezia. In quell’occasione, tra conversazioni cavalcate sul Lido e viaggi in gondola, fu discusso anche il destino della piccolissima Allegra, figlia di Byron e Claire Clairmont, la sorellastra di Mary. (Quest’ultima fu la seconda moglie di Shelley e l’autrice del celeberrimo romanzo gotico Frankenstein.) Allegra morì in giovanissima età, in un convento presso Ravenna, ma in questo poemetto Shelley la reinventa dandole quella vita che il tempo le negò, ma che l’arte sa creare e tramandare: la vediamo muoversi tra le stanze di un palazzo simile a quello che Byron abitò a Venezia, dapprima come bimba angelica, poi come giovane donna dall’aggraziata personalità.
Percorrere le sale dove si mosse e operò un autore che ci è caro, è esperienza difficile da dimenticare. Ho sentito rivivere in me l’antica forza dell’aura, che così è definita dal saggista italiano Elémire Zolla all’inizio del suo libro intitolato, appunto, Aure (1985):
In greco e in latino si parla del fascino come fosse una brezza, un’aura spirante dalle persone o dai luoghi, che a volte cresce, diventa turbine, nembo, nube abbagliante, riverbero dorato, ingolfa e stordisce.
E’ emozionante salire le scale ed entrare nelle ampie stanze dove si svolse una vita straordinaria; è fascinoso percorrere l’ampio terrazzo che si affaccia sulla baia che si apre tra Lerici a levante e Portovenere a occidente, lasciando che lo sguardo si riempia del cielo e del mare e dell’orizzonte ove i limiti si sfumano in una vaga linea che tremola nell’aria indefinita e dona il senso della vastità delle cose. Il pavimento le pareti le porte le finestre assorbivano e rinviavano l’eco del nostro incedere, che pareva inseguire e forse ritrovare le tracce di passi remoti che il tempo ha coperto con la coltre del suo silenzio. Anche le pietre parlano, e non solo nella loro veste di sculture: si ha il sospetto che i luoghi frequentati dai grandi della storia dell’umanità si siano imbevuti di quelle presenze, e che, affinando i nostri sensi, possiamo cogliere qualche sussurro che ispirerà le nostre vite. Muovendomi tra il piano terra e il piano nobile dell’ampia magione, ho visualizzato scene ed episodi dell’errabonda esperienza terrena di Shelley, di cui avevo avuto notizia studiando la sua biografia. Vedere l’ambiente, conoscere l’atmosfera che circondò un gesto o un atto creativo, rende più vivo e più intenso il verso che si è inciso nella nostra memoria. Ne sprigiona un potenziale comunicativo rimasto finora nascosto e come assopito:
Rapido come Spirto pronto all’opra
Di gloria e di bene, proruppe il Sole
Gioendo del suo splendore e la maschera
Del buio cadde dalla desta Terra.
(da Il Trionfo della Vita)
Leggere questi versi attenti agli effetti che la luce suscita penetrando nei locali dove furono concepiti, cogliere le sfumature delicate e ricche di magia che rendono memorabili i luoghi, intensifica la risonanza della musica delle parole, arricchendo il potere comunicativo della poesia e rendendo più vera la nostra risposta.
Sul muro occidentale della casa è una lastra di marmo che reca inciso un pensiero di Shelley sulla sua residenza a San Terenzo: il poeta ricorda il continuo incanto nell’udire ogni giorno la ammaliante musica della baia, che in uno con la luce del sole cattura e nutre il suo spirito.
Grazie a manifestazioni artistiche come quella accennata in apertura di questo articolo, alcune mete preziose del nostro mondo riacquistano la loro forza più vera, che è quella degli spazi privilegiati ove ancora è avvertibile l’aura luminosa che spingeva la gente al pellegrinaggio e alla devozione. Tra i luoghi e il nostro animo si crea un accordo diverso e un legame più profondo, e queste suggestioni ci dischiudono angoli imprevisti, scorci sorprendenti nel lento corso degli anni che ci pareva così conosciuto e superficiale.
Siamo molto di più di quanto è riassunto dai nostri dettagli anagrafici. Una forza maggiore della nostra persona è presente fra di noi, formidabile se pure elusiva, come si espresse proprio Shelley nel suo Inno alla Bellezza Intellettuale, del 1816-1817:
L’ombra sacra d’un ascoso Potere
Scorre ascosa fra di noi, – visitando
Il vario mondo con ala incostante
Come i venti estivi in corsa tra i fiori –
Postilla: nel 2014 le Edizioni Antonio Attini hanno pubblicato la plaquette della manifestazione del 18 maggio 2013: si intitola E’-Vento di Poesia, a cura di Flaminio Di Biagi e Massimo Maggiari. Contiene i testi letti o recitati nel corso di quella straordinaria serata e due commenti di Flaminio di Biagi e di Grazia Sotis, della Loyola University, Chicago – Rome Center.)