Ugo Gervasoni – Le voci dei maestri
I luoghi: Roncisvalle
(778, la retroguardia dell’esercito di Carlomagno è annientata)
Prendendo la strada in salita che si diparte, a sinistra, dal centro della cittadina di St. Jean Pied-de-Port, e sale, dapprima in lieve pendio poi con più decisa pendenza verso i colli pirenaici, si entra, oltrepassando il confine tra Francia e Spagna, nella Navarra, accolti da ombrose verzure tagliate a intervalli irregolari da freschi torrenti che scendono a salti verso il fondovalle. Superati gli ultimi borghi, il paesaggio diviene più solitario e severo, finché si apre, verso il culmine dell’ascensione, su alture e vallate boschive a destra e a sinistra della strada. Qui, sulla vetta del colle Ibaneta, si erge una semplice pietra in forma di stele funebre, con inciso un nome, Roldan, e una data, 778.
E’ il ricordo del celebre e cruento e leggendario scontro armato che comportò la disfatta della retroguardia dell’esercito di Carlo Magno, il re dei Franchi che ritornava da una spedizione vittoriosa in terra iberica. Bande di guerrieri baschi attaccarono i soldati francesi, scendendo dalle alture e sorprendendo, anche grazie alla perfetta conoscenza del territorio, l’armata dei Franchi annientandola: tra i personaggi altolocati che qui trovarono la morte fu Hrodland, prefetto della marca di Bretagna.
La storia si arresta a questi scarni, penosi resoconti: la poesia ha redento una delle innumerevoli scene di violenza della vicenda umana in una epopea che ha più vita e più verità e, chissà, più realtà di quanto di fatto successe in quella lontana giornata del 15 agosto 778.
La Chanson de Roland eleva quell’agguato dalle irrilevanti conseguenze storiche allo stato dell’epica, insufflandovi sentimenti e valori e comportamenti che lo strappano dalle catene del tempo e lo fanno rilucere nello spazio dorato dell’arte. Il canto trasforma i baschi in saraceni, al fine di sfruttare il tema dello scontro tra fedeli e infedeli, così caro all’immaginario medievale; moltiplica i numeri degli attori; fa di Roland il comandante della retroguardia; affianca all’eroe altri nobili personaggi come il conte Oliviero e l’arcivescovo Turpino; crea le figure del vegliardo Carlo e dell’invidioso traditore Gano di Maganza. Per toccare tutta la gamma del sentire umano, la Chanson infine evoca la dolce, struggente persona di Alda la bella, promessa sposa del conte Roland, che all’annuncio della sua scomparsa rifiuta un altro sposo e muore di dolore.
Sono memorabili e commoventi i passi dedicati ai pressanti inviti di Oliviero perché Roland suoni il corno Olifante che può portare soccorso, e i reiterati rifiuti del conte, che non vuole dare di sé immagine di codardo.
“Compagno Orlando, l’olifante suonate:
Carlo l’udrà, farà i Franchi tornare:
coi suoi baroni il re ci aiuterà.”
Risponde Orlando: “Al Signore non piaccia
che i miei parenti sian per me biasimati,
e disonore ne abbia la dolce Francia!
Prima gran colpi darò con Durendala,
la buona spada che tengo cinta al fianco:
tutto vedrete il brando insanguinato.
Si son con danno qui i pagani adunati:
giuro che a morte son tutti destinati.”
(Lassa LXXXIV, tr.it. Di R. Lo Cascio)
Solo quando la disfatta è consumata, Roland porta Olifante alla bocca e soffia con tale energia che il sangue fuoriesce dalle orecchie e scoppiano le tempie. Le ultime parole del conte sono per la fida spada Durandal, che non può finire in mani sacrileghe: spirando da eroe il conte si stende sulla sua arma infrangibile.
(Roland de Roncevaux)
Muovendosi per questi luoghi si può immaginare la dinamica di questo scontro, vedere le orde basche-saracene scendere urlando in corsa dai sovrastanti pendii e l’esercito regolare impossibilitato alle manovre usate, perché il terreno è scabroso e aspro e il nemico sbuca da ogni parte. Si può immaginare, anche, il suono di Olifante che valica i colli e le valli e giunge infine alle orecchie di Carlo, che ritorna e vendica l’eccidio dei suoi.
Ancora una volta si ha conferma che l’arte rende universale, cioè vero ed essenziale, ciò che è particolare, cioè transeunte e oscuro, così che quanto è raccontato nell’epica ha più sostanza di quanto è registrato negli annali della storia. La Chanson de Roland è alla radice del poema italiano Orlando innamorato, di Matteo Maria Boiardo e del capolavoro di Ludovico Ariosto, Orlando furioso, insuperato gioiello di leggerezza e fantasia; se ne sentono ancora gli echi nella Gerusalemme liberata di Torquato Tasso.
Poco oltre il colle di Ibaneta, è il villaggio di Roncisvalle, ove si trova l’abbazia che è uno dei punti di partenza per il pellegrinaggio a Santiago de Compostela: un cartello segnala la distanza tra i due luoghi: 790 chilometri.
Proseguendo il mio peregrinare sulle strade di Francia, mi sono imbattuto in una delle tante coincidenze significative che ritmano e arricchiscono le nostre vite, ma su cui si ha spesso paura di fermare la propria attenzione. A Rocamadour, borgo medievale arroccato sulle pendici del Causse nella gola dell’Alzon, nella roccia da cui si stacca la cappella della Vergine Nera, è una spada infissa nella pietra e legata ad una catena. La leggenda vuole che sia la famosa Durandal del conte Roland: la simmetria delle cose rende bella e suggestiva la fiaba. Perché non ripetere anche noi in questa occasione, in compagnia del poeta romantico inglese John Keats, che bellezza è verità e verità bellezza?