Ugo Gervasoni – Le voci dei maestri
I luoghi – La Tour Montaigne
(XIV secolo)
Percorrendo la strada che da Bergerac (ove ci si imbatte, naturalmente, nella statua del personaggio dal celeberrimo naso) conduce ad ovest, verso Bordeaux e l’Oceano Atlantico, strada che scorre piacevole tra vigneti e piccoli borghi dall’aspetto accogliente, si giunge ad un bivio che segnala, poco oltre, l’antica dimora di uno dei grandi spiriti che hanno nobilitato la storia umana, Michel de Montaigne (1533-1592). Il castello distrutto da un incendio nel corso del XIX secolo, è stato ricostruito e, pur nella sua imponente struttura, non porta impronta dell’uomo straordinario che qui operò. Ma la torre ove il sapiente che giocò ruoli politici di altissimo livello, da sindaco di Bordeaux a consigliere del re Enrico di Navarra, lavorò al libro straordinario noto come Les Essais (Saggi), tuttora si erge solida e pulita all’ingresso della proprietà. Salendo per le strette scale e muovendosi per quelle stanze, non solo si respira l’aria che nutrì lo scrittore ma facilmente lo s’immagina in movimento tra la cappella al piano terreno e la camera da letto al piano superiore e, soprattutto, nella libreria e nell’adiacente studiolo all’ultimo piano, dove nacquero, mentre Montaigne passeggiava e dettava al suo segretario le riflessioni che si susseguivano nella sua mente, i suoi Saggi.
(pagina degli Essais con correzioni (la libreria: sulle travi sono dipinte
autografe) le sentenze predilette)
Tra gli appassionati lettori, in una delle prime traduzioni in lingua inglese, fu il sommo William Shakespeare, che seppe trarne spunti d’ispirazione per le sue creazioni teatrali: è sufficiente ricordare le pagine che Montaigne dedicò ai “cannibali”, che furono senz’altro presenti al drammaturgo inglese quando creò la potente figura di Calibano nella sua, forse, ultima commedia La Tempesta.
Soggetto dei Saggi è infatti la natura umana, nella sua multiforme multicolore globalità, studiata sia nella singola persona concreta che Montaigne scorgeva e comprendeva nei moti del suo animo e nelle peculiarità del suo corpo, sia con l’aiuto dei testi classici che Montaigne amava frequentare, da Plutarco a Tacito a Virgilio a Lucrezio a Ovidio, e così via: le sentenze che di volta in volta colpivano prepotentemente la sua immaginazione venivano fatte dipingere sulle travi del soffitto, così che, alzando gli occhi, fossero sempre leggibili. La libreria di Montaigne, disposta tra due finestre contro la parete circolare della torre, conteneva più di mille volumi, quantità straordinaria per l’epoca e possedimento prezioso al punto che lo scrittore lasciò la stanza senza camino, perché non ci fosse pericolo che una scintilla venisse in contatto con carte e pergamene e tutto fosse distrutto dal fuoco. D’inverno lavorava nello studiolo accanto, ove le fiamme riscaldavano senza creare preoccupazione: dalla finestrella scorgeva l’altra torre poco distante in cui aveva le sue stanze la moglie, insieme con la figlia.
Sin dal primo saggio la sfuggente qualità della condizione umana è definita in modo folgorante e definitivo in una frase lapidaria: “Invero l’uomo è un soggetto meravigliosamente vano, diseguale e ondeggiante (merveilleusement vain, divers, et ondoyant): non è facile costruirne un giudizio costante e uniforme.”
Se consideri preziosa, Lettore, la voce amica che suona sempre sincera e, senza iattanza, ti aiuta a diradare le tenebre che troppo spesso celano te a te stesso, allora quella di Michel de Montaigne ti diventerà cara e insostituibile. Muovendomi per le stanze ove quel grande passeggiò lesse meditò compose, osservando dalle finestre il paesaggio su cui si posavano i suoi occhi mentre la mente elaborava il suo lucido pensiero, ho riassaporato tanti passi della sua opera, i temi tanti ed essenziali della vita che tutti ci abbraccia e ho sentito, oltre che più intensa affinità, più struggente vicinanza. In frotta mi hanno rivisitato le osservazioni sulla tristezza, sull’ozio, sui bugiardi, sulla fermezza, sulla paura, sulla moderazione, sull’istruzione; in particolare la memoria si fissava su alcuni passi del lungo eccezionale saggio intitolato “Filosofare è imparare a morire,” ricco oltre ogni dire di spunti meravigliosi, come la seguente osservazione che così suona nella nostra lingua: “La meditazione della morte è meditazione della libertà,” ma che nell’originale francese è più pregnante, perché l’autore usa il termine prémeditation, che dà l’idea della disciplina preparatoria, della pratica filosofica come esercizio spirituale in vista del fine più alto, che consiste nella liberazione dell’anima da ogni catena.
Tra le curiosità della torre che destano un sorriso è il piccolo vano che serviva a Montaigne da nascondiglio quando un visitatore importuno giungeva a disturbare la sua solitudine produttiva: possiamo immaginare la divertita soddisfazione dello scrittore quando udiva i passi indiscreti allontanarsi scendendo le scale della torre in cui avevano da poco cessato di risuonare salendo, portando via le cure irrilevanti del postulante, e permettendo a Michel de Montaigne di lasciarci uno dei libri più belli della storia umana.
Michel de Montaigne: “Che un tale uomo abbia scritto, ha accresciuto il nostro piacere di vivere su questa terra.” Friedrich Nietzsche