Ugo Gervasoni – Le voci dei maestri
Honoré de Balzac
(1799 – 1850)
Da un certo momento della sua vita artistica, corrispondente all’anno 1834 della storia contemporanea, Honoré de Balzac coltivò un sogno ambiziosissimo, quello di creare con la sua opera di romanziere il mondo, che su quello che scorre davanti ad ognuno di noi avesse il vantaggio di non scomparire, perché sottratto, dalla sua parola inesauribile, all’oblio delle cose che splendono per breve tempo e poi trapassano. Le vite e le imprese degli uomini straordinari che la storia ha conosciuto continuano a vivere, come sorgenti inesauribili di ispirazione e di entusiasmo, soltanto nelle pagine degli scrittori che ne hanno narrato le gesta: quegli eroi sono, dopo tanti secoli, forse neppure più polvere. I personaggi creati da Balzac non trascorrono, sono sempre presenti, i sogni che agitano il loro cuore e la loro mente non hanno mai posa, non si stancano, non verranno mai meno, perché l’arte di Balzac li ha posti là dove il tempo non può infierire. Aveva questo dono anche William Shakespeare, come si comprende leggendo il sonetto che inizia con il verso “Ti paragonerò ad un giorno d’estate”; il distico finale così recita:
Finché l’uomo respiri e l’occhio veda,
Questo vivrà, a te donando vita.
La meraviglia dell’arte è che non solo essa crea il bello, ma lo sottrae, dopo averlo evocato e formato, alle leggi distruttive del tempo, che reggono ogni altra umana impresa.
Balzac volle intitolare il suo grandioso progetto La Comédie humaine, (La Commedia umana). L’opera fu divisa in tre categorie: gli Studi analitici, storie relative ai princìpi che governano la vita e la società umane; gli Studi filosofici, che investigano le cause determinanti delle azioni umane; gli Studi di costume, che mostrano gli effetti di quelle cause. Sei furono le scene che Balzac considerò: quella privata, quella della provincia, la parigina, e quelle politica, militare e di campagna. Un’impresa straordinaria, con decine di romanzi concepiti e compiuti; il numero totale, in una lista dettagliata stesa dallo stesso scrittore, avrebbe dovuto essere di 137. In diversi romanzi riappaiono gli stessi personaggi, ora come protagonisti, ora come comprimari, formando intrecci di azione, di psicologia e di consequenzialità assai più ricchi e rivelatori di quanto è offerto alla nostra percezione dai frammenti vitali che ci circondano. Indimenticabili sono le creazioni balzachiane che portano i nomi di Eugène de Rastignac, di Lucien de Rubempré, soprattutto di Vautrin, alias Jacques Collins, soprannominato Trompe-la-Mort, figura titanica che opera e trama al di là di ogni forma di legalità, forse la prima potente incarnazione dell’idea del superuomo. Se ne leggono le avventure nei tre stupendi romanzi Papà Goriot, Illusioni perdute, Splendori e miserie delle cortigiane, che caldamente raccomando secondo questo ordine.
Per accostarsi al genio di Balzac può essere utile una novella che l’autore volle porre in apertura della sua Commedia umana; si chiama La maison du Chat-qui-pelote (La casa del Gatto-che-gioca-alla-pallacorda). Il titolo fa riferimento all’insegna dipinta sopra la porta d’ingresso alla Casa di commercio Guillaume, ove ha inizio la narrazione. E’ la storia commovente, in parte di origine autobiografica, di ciò che può accadere quando un’anima ingenua e bella (in questo caso una ragazza) cresciuta però nell’arida atmosfera di una famiglia di mercanti borghesi, che concepisce la vita solo come estensione del registro delle entrate e delle uscite, si trova a respirare l’aria tutta diversa del mondo degli artisti, essendo divenuta l’ispiratrice, prima, e poi la moglie di un pittore. Come può quell’atmosfera rarefatta ed esclusiva e, spesso, sprezzante essere condivisa e compresa da una figura che per natura ne è aliena e come opposta, pur sorretta dalla buona volontà che l’amore suggerisce? Le tensioni estreme sono pericolose e letali, lacerano e consumano: così accadde alla sorella di Balzac che, nata nel seno della borghesia, sposò un aristocratico futile e fatuo, e morì in pochi anni sfibrata dalle incomprensioni e dal dolore.
Balzac evoca ambienti e personaggi, forma intrecci e ne segue gli sviluppi, sullo sfondo di una Parigi che vibra di voci e di ambizioni, di atti buoni e di atti malvagi, mostro dalle fattezze umano ma dalle dimensioni disumane, come Londra fu per Charles Dickens. Così Balzac ne coglie un tratto all’inizio della novella, dipingendo la strada ove sorge la casa che le dà il titolo:
Malgrado il rumore che facevano alcuni orticoltori attardati che passavano al galoppo per recarsi ai mercati generali, questa via così frenetica riposava allora in una calma la cui magia è conosciuta soltanto da color che hanno vagato nella Parigi deserta, in quelle ore in cui il suo frastuono, placato per un attimo, rinasce e si intende nella lontananza come la grande voce del mare.
Questa non è solo la descrizione di un angolo di una metropoli, è piuttosto la resa di un momento privilegiato, un’esperienza epifanica, in cui pare svelarsi l’arcano della vita.
E’ un brano che fa comprendere ciò che il poeta Charles Baudelaire scrisse di Balzac:
Mi ha stupito molte volte che il merito più grande di Balzac fosse considerato l’osservazione: mi era sempre apparso tale, invece, quello di essere un visionario, e un visionario appassionato. Ogni suo personaggio ha in dono l’ardore vitale che animava lui stesso. Ogni sua narrazione è ricca di tinte profondamente vivaci come quelle dei sogni.
(illustrazione da Splendori e miserie delle cortigiane)