Ugo Gervasoni – Le voci dei maestri
GIOVANNI PISANO A PISTOIA
Un recente viaggio a Pistoia, città ricca di arte pur non facendo parte del circuito turistico che attrae tanti visitatori in Toscana, appena prima delle nuove restrizioni sugli spostamenti a causa del virus che da mesi miete vittime anche nel nostro paese, ho approfittato della buona sorte per ammirare, tra tanti tesori, il pulpito a base esagonale che Giovanni Pisano progettò e scolpì per la chiesa di Sant’Andrea. Fu da lui terminato nel 1301, un anno prima di iniziare i lavori per il celeberrimo pergamo del duomo di Pisa, che segna forse il culmine dell’arte di Giovanni, sempre più attento e malioso nell’interpretare e raccontare la storia e i suoi drammi e trionfi, nel mentre che la sua attenzione e la sua curiosità inventiva sanno dedicare ogni cura anche ai dettagli meno appariscenti dell’evento che ricrea. Ho detto “buona sorte” non a caso, perché non appena, il giorno del mio arrivo, mi sono recato colmo di aspettative alla chiesa, ho trovato il portone ermeticamente serrato: un laconico messaggio informava che l’apertura del luogo sacro era limitata a poche ore durante il fine settimana. Non era la prima volta che mi ritrovavo a lamentare il dilagare dell’epidemia, e la delusione mi toglieva la pace. Che fare? Provai a contattare l’Ufficio turistico, e nel corso di un piacevole scambio con un volenteroso impiegato, riuscii a coinvolgere una guida che mi permise di superare l’ostacolo: “Si dice che Pistoia,“ mi confidò, “sia un po’ come le città del meridione d’Europa: se si conoscono le persone responsabili di questo o quel luogo, anche in periodi di chiusura è possibile soddisfare ai desideri degli amanti dell’arte. Non lo dico per denigrare la mia città né le altre che le possono somigliare. Riferisco semplicemente una diceria. Come dicevano i latini: Relata refero.”
Quando mi trovai davanti al pulpito, pur avendo poco prima ammirato lo splendido dossale in argento dorato che è custodito in una cappella del Duomo (fra le tante formelle, una è di Filippo Brunelleschi), mi sentivo fresco e disposto alle nuove suggestioni come chi finalmente è al cospetto di un capolavoro che da tempo gli occupa la mente e il cuore, e tutto il resto passa in secondo o in terzo piano. Le storie scolpite nei pannelli del parapetto sono narrazioni di intensa carica drammatica tali da rivaleggiare con le pagine dei romanzi che più ci catturano, Il rilievo è quasi a tutto tondo, l’occhio si ritrova ad andare di piano in piano e di scena in scena quasi in un crescendo di festa visiva, dai leoni che sostengono le colonne in porfido, agli archi trilobati a sesto acuto, alle figure che riempiono lo spazio ai loro lati, alle scene della Strage degli Innocenti o della Crocefissione. Quando quasi si è sul punto di perdere l’orientamento nella folla accalcata di uomini donne bimbi carnefici vittime, l’uno sovrapposto all’altro o in caccia o in fuga, ecco che si intuiscono le linee intorno alle quali si sviluppano le composizioni, che si diramano e si incrociano costruendo il loro spazio e vibrando nella luce che non solo si posa sui rilievi, ma avvolge le figure e le fa splendere. Si avverte il desiderio di sfiorare con la mano quei corpi, per comprendere anche la materia oltre che intenderne la forma. Tra le scene indimenticabili è quella della madre che, incredula e angosciata, abbandona lo sguardo sul bimbo sgozzato che le hanno lasciato sulle ginocchia: i seni colmi di latte tendono la veste, pronti a nutrire il pargolo che non si sveglierà più, un tocco di straziante realismo che sembra gridare, senza voce, la disperazione di tutte le donne che hanno perduto i figli a causa della violenza della storia che, come la bufera del quinto canto dell’Inferno dantesco, “mai non resta”.
Il virtuosismo di Giovanni Pisano attinge vertici di plasticità costruttiva quale si ammira in tanti gruppi marmorei di Michelangelo, di Bernini, e, nella nostra provincia, in quasi tutte le creazioni lignee di Andrea Fantoni. Giovanni era consapevole dell’altezza della sua arte, e non soffrì di falsa modestia nel proclamare l’importanza della sua opera. Nell’iscrizione latina che corre tra le arcatelle e i parapetti vengono ricordati i nomi del committente (Arnoldo) e dei due finanziatori (Andrea Vitelli e Tino Vitali); quello che colpisce però, se si riesce a decifrarla con non poca fatica, è che Giovanni Pisano scrive che lui “figlio di Nicola, seppe superare il padre in scienza e tecnica” (Nicoli natus scientia meliore beatus).
Le opere di Giovanni Pisano che visse tra il 1245 e il 1314, preannunciano già l’artista rinascimentale.