Ugo Gervasoni – Le voci dei maestri
Dall’Africa nera
(Arthur Rimbaud, Joseph Conrad)
Nel 1890 al capitano Josef Korzeniowski fu affidato il comando di un battello che avrebbe dovuto risalire il fiume Congo, penetrare all’interno dell’ancora misterioso paese dell’avorio, esplorarne la natura e la geografia, e portare soccorso ad un agente della stessa compagnia belga che lo aveva assunto, il quale giaceva infermo all’interno. La spedizione conobbe ritardi e contrattempi, il capitano Korzeniowski si trovò subito in disaccordo con il direttore della stazione commerciale di Kinshasa, che avrebbe navigato con lui. Nel corso del viaggio di ritorno, lo sfortunato agente che era stato raccolto a Stanley Falls, indebolito dalla lunga malattia, morì. A Josef Korzeniowski rimase uno spiacevole ricordo dell’avventura africana, durante la quale soffrì di diversi episodi di febbre elevata e di un lungo, debilitante attacco di dissenteria. Come scrisse alla sua conoscente Madame Poradowska, “Mi pento di essere venuto qui. Non c’è aspetto che non mi disgusti. Uomini e cose, ma soprattutto uomini.”
Pochi anni prima, nel 1887, Arthur Rimbaud, da anni di stanza ad Harar in veste di mercante ossessionato dal desiderio di diventare finalmente ricco, si lanciò nella sua impresa più avventata e rischiosa: dopo avere fatto arrivare dall’Europa alcune migliaia di fucili, organizzò una carovana che portò, in tre tormentati mesi di viaggio, le armi alla residenza di Menelik re dello Scioa. Il sovrano etiope, però, si rifiutò di pagare il carico al prezzo convenuto con colui che si faceva ora chiamare Abdo Rinbo, e rilasciò solamente una misera cambiale che neppure lontanamente copriva le spese dell’acquisto delle armi. Rimbaud ritornò provatissimo ad Harar. “Esco da questo affare,” scrisse, “con una perdita del 60% sul mio capitale, senza contare i mesi di fatiche atroci che mi è costata la realizzazione di questa disgraziatissima impresa.”
(Il mercato di Harar nel XIX secolo)
Nel 1899 il capitano che ora aveva cambiato il proprio nome in Joseph Conrad, mise mano ad una storia dal titolo Heart of Darkness (Cuore di tenebra, nella traduzione italiana): riemergevano atmosfere e ricordi della sgradevole risalita del fiume Congo di dieci anni prima, ma quella rielaborazione narrativa avrebbe ispirato, con pari forza di impatto, sia la più importante letteratura del Novecento, da La terra desolata di Thomas Stearns Eliot a Viaggio al termine della notte di Louis-Ferdinand Céline, sia le arti visive, come dimostra il capolavoro cinematografico di Francis Ford Coppola, Apocalypse Now. Dalla lenta, profonda voce narrante del capitano di mare Charlie Marlow, alter ego letterario di Joseph Conrad, emerge la assai inquietante figura di Kurtz, l’agente commerciale che, inghiottito dalla tenebrosa giungla africana, assurge al ruolo di folle divinità, sciolta dai nodi del bene e del male, per i selvaggi in mezzo ai quali dimora, e giunge infine a cogliere il livido bagliore nascosto nell’oscuro interno del continente, comprendendo in un attimo di visione suprema, poco prima dell’ ultimo respiro, che esso altro non è che uno degli aspetti dell’abisso della coscienza occidentale, per quanto esso sia orribile a vedersi. Le ultime parole di Kurtz, ripetute da Marlow, paiono incidersi come impresse a fuoco nella memoria del lettore, perché evocano l’indicibile: “L’orrore…L’orrore.”
(Battello a vapore sul fiume Congo)
Nel 1891 Arthur Rimbaud avvertì i primi dolori alla gamba destra. Scrisse alla famiglia: “ Il clima di Harar è freddo da novembre a marzo. Io, per abitudine, quasi non mi vesto: pantaloni di tela e camicia di cotone. E, per di più, facevo delle camminate di perfino quaranta chilometri al giorno, delle cavalcate pazze attraverso le impervie montagne del paese. Credo che nel ginocchio si sia sviluppato un dolore artritico, causato dalla fatica, dal caldo e dal freddo.” Si trattava, invece, di un carcinoma dolorosissimo che costrinse Rimbaud a ritornare in Francia, dopo essere stato trasportato per trecento chilometri da Aden a Zeylah, in una barella coperta, progettata da lui stesso. Conobbe una nuova stagione infernale, cupa, tormentosa, disperata: “Sono disteso, con la gamba fasciata, legata, stretta e incatenata così da non poterla muovere. Sono diventato uno scheletro, faccio paura. La mia schiena è tutta una piaga, non riesco a dormire neppure un minuto.” A Marsiglia la gamba fu amputata. L’uomo dalle suole di vento era ora un invalido. Ma ciò che aveva sperimentato e sofferto nel continente africano, anche a lui aveva dischiuso una visione diversa delle cose del mondo. Quando un amico ad Aden, gli parlò delle sue poesie, che a Parigi ora facevano furore in seguito alla pubblicazione del volumetto Les poètes maudits (I poeti maledetti), curata da Paul Verlaine, Rimbaud mormorò: “Risciacquature, nient’altro che risciacquature.”
Verso la fine di Cuore di Tenebra, Charlie Marlow, tornato in Europa, avverte con profondo disagio che le città sono sepolcri, ed è disgustato da tutta la gente che divora sostanze e sogna frivole avventure esistenziali: “Erano intrusi, la cui conoscenza della vita era per me solo una pretesa irritante, perché sentivo che non potevano sapere le cose che sapevo io.” Da siffatto fastidio per i contemporanei e dal ripudio della loro compagnia Joseph Conrad fece nascere una delle opere più significative della letteratura moderna, i cui principali temi sono il dubbio acerbo, l’incertezza fisica e morale, l’esplorazione delle solitudini estreme della geografia della terra e dell’anima, la formulazione di domande a cui la risposta pare aliena.
Arthur Rimbaud aveva già terminato di costruire la sua letteratura, geniale e nuova, prima di immergersi nell’Africa misteriosa e priva di pietà. Quegli anni gli fecero, però, sicuramente intendere in una luce diversa i colori che egli, giovinetto, aveva assegnato alle vocali in un famoso sonetto, le corse sfrenate del suo poema del mare Il battello ebbro, le alchimie del verbo, i poteri sovrumani del Veggente che aveva evocato nella lettera a Paul Demeny del 15 maggio 1871, le illuminazioni che lo colsero mentre vagabondava per le strade dell’ Europa. Tutta la sua produzione giovanile era di certo significativa, non era possibile negarlo, ma allo stesso tempo era irrilevante. Perché se la letteratura è insostituibile come strumento grazie al quale l’uomo può riconoscersi e conoscersi, essa è anche inutile nella rete ordinaria dei commerci e delle distrazioni sociali; è significativa e unica perché parla di ciò che è più intimo e più prezioso per ognuno di noi, ma è ridondante e fragile nel mondo della chiacchiera quotidiana; è allo stesso tempo nobile e sensibilissima sonda di verità, ma è altresí ovvia modellatrice di menzogne, dal punto di vista della cosiddetta realtà in cui tutti apparentemente ci scambiamo pensieri e parole.
Dal cuore del buio i valori escono stravolti, forse trasfigurati, dotati ormai di qualcosa di nuovo in seguito al cozzo dell’uno contro l’altro e di tutti sullo sfondo di una dimensione insospettata, e alla perdita e all’ acquisto di echi e di valenze che questo scontro ha reso inevitabili. Si rivestono così di spessori e di colori e di sfumature che ne hanno alterato la semantica. Mentre si sfrangiano i contorni, la visione si offusca, e poi ritrova il suo novello fuoco, nell’orizzonte che si è allargato. Si avverte allora il bisogno di tornare, sempre più disposti ad accettare quei timbri nuovi, alle voci che per prime hanno espresso la nuova dimensione, le voci maliose che hanno saputo spremere scintille dalla tenebra.
Si porge orecchio ad Arthur Rimbaud. Si porge orecchio a Joseph Conrad.