La rilevanza del nonsense, II

Ugo Gervasoni – Le voci dei maestri

La rilevanza del nonsense, II

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III

La meta della meditazione nell’ambito della spiritualità indiana, perseguibile grazie alle tecniche yoga, è di attingere livelli di realtà inaccessibili al profano. In India, rileva Mircea Eliade in Lo yoga, immortalità e libertà, 1954, “lavorare sulla coscienza non vuol dire isolarsi dal reale, né perdersi in sogni o allucinazioni; vuol dire invece prendere direttamente contatto con la vita, inserirsi nel concreto.” Tutto ciò che rientra nella sfera dell’esperienza quotidiana (dagli oggetti ai modi in cui sono percepiti, al ritmo stesso con cui l’uomo si muove e respira) è pura illusione, mâyâ, a cui dà credito soltanto chi ignora la vera realtà. Per togliersi dal ciclo doloroso dell’insipienza bisogna morire al mondo profano e aprirsi all’incondizionato.

Una delle pratiche che possono favorire l’ascesi è la concentrazione sui suoni mistici, composti spesso da onomatopee o parole inintelligibili. La meditazione prolungata su queste catene fonetiche (che divengono formule sacre, note come mantra), permette al contemplativo di superare il flusso caotico dell’attività psichica e mentale, aiutandolo a comprendere la falsa centralità dell’io: la prima tappa del percorso iniziatico consiste infatti nell’omologare la vita dell’uomo ai ritmi cosmici, rendendo possibile quello che Dante chiamò trasumanar. La manipolazione del linguaggio altera la consapevolezza, in vista del risveglio della coscienza oltre le maglie della rete verbale: si profila quella zona pallida e senza nome che il nonsense ha fatto intravedere, il grumo informe di possibilità che è indifferente al proprio sviluppo. Ma mentre il nonsense discretamente si ritira al punto in cui la forza delle parole viene meno, nella tradizione mistica la dissoluzione del linguaggio è la condizione delle ulteriori esperienze. I suoni mistici sono, infatti, ciò che rappresentano, così che ripetendoli, l’asceta si impadronisce dell’essenza ontologica, approdando allo stato oltreumano della santità. Poiché l’universo è sonoro, il suono mistico è insieme la realtà simboleggiata e il suo segno indicatore (la vibrazione ritmica originaria dice proprio ciò che essa è, non accenna ad una dimensione fuori di sé) e, in virtù delle corrispondenze occulte tra lettere e organi sottili del corpo umano, la concentrazione sul simbolo può risvegliare tutte potenzialità che con esso sono in accordo. Il verbo crea e il verbo disfa il tessuto del mondo, ed è infine possibile perseguire il fine ultimo della libertà assoluta, il sogno nostalgico dell’uomo dall’inizio dei tempi.

Quando le operazioni dei sensi e dell’intelletto sono trascese, si valica il ponte oltre il quale le similitudini divengono metafore di fuoco: per evocarle occorrerà servirsi di costruzioni verbali finora inconcepibili, che paradossalmente comunicheranno, nel loro sapienziale mormorio, il proprio definitivo superamento, la stasi ultima della beatitudine. Quando il nonsense si chiede, operando, se le parole possono schiudere nuove possibilità di conoscenza, mette umilmente in atto le tecniche che hanno trionfato nelle pratiche yoga, in quelle del koan zen, del dhikr musulmano, della preghiera continua degli esicasti, e così via. Dopo avere generato il riso, il nonsense evoca il silenzio, un silenzio ondulato in cui anche i nodi più tenaci possono sciogliersi.

IV

Del pari, per la mistica occidentale il fine è trascendere il limite umano per conoscere e godere l’assoluto: il rapporto privilegiato con Dio avviene quando il praticante è trasformato dall’amore spirituale fino a trasporsi oltre se stesso, labile ricordo del corpo pesante, cosciente oblio paradossale di spazio e di tempo. “Il misticismo è conoscenza completa rispetto all’intelletto discorsivo, che è organizzazione della conoscenza secondo un modello meramente ottico” (Elémire Zolla). Si tratta di respingere le imperfezioni del discorso articolato: il mistico occidentale non suggerisce particolari pratiche di natura linguistica, ma educa la sua attenzione a guardare il punto dove l’esistenza personale si contraddice, il rifugio dal molteplice, il dolce sonno delle forme.

Nella seconda lettera ai Corinzi, Paolo di Tarso scriveva, a proposito del suo rapimento al terzo cielo, che udì “parole sublimi che per un uomo è impossibile ripetere”; inoltre parlava di sé in terza persona, quasi fratturando il suo corpo martoriato e negandosi ogni merito. All’estasi si accenna dopo avere dimenticato il proprio volto quotidiano. Poco più tardi, la Teologia mistica dello pseudo Dionigi Areopagita parla della “caligine luminosissima del silenzio che insegna arcanamente”, parole, alla lettera, più aberranti dei calembours del nonsense, comprensibili solo quando si riconosca che il sovrasensibile canta nel silenzio delle parole.

riccardo san vittore

I nomi potrebbero succedersi, scintillanti come le perle infilate su u filo di cui non si scorge la fine: a riassumere e definire i caratteri dell’esperienza mistica occidentale basti quanto scrisse Riccardo da San Vittore, priore dell’abbazia di San Vittore di Parigi, dal 1162 al 1173, nella sua opera Benjamin minor, trattato di morale mistica in cui Beniamino, l’ultimo e più caro figlio di Rachele e Giacobbe, è considerato l’opera della contemplazione, il riposo dell’anima nel possesso amoroso della verità. Anche per Riccardo, al pari di quanto viene insegnato in oriente, il vero gaudio è raggiungibile solo grazie alla prolungata disciplina (nisi per abstinentiam et patientiam, mens humana ad verum gaudium non pertingit, XXXVI); come per Paolo la mente da sola non può ottenere tanta grazia (ad tantam namque gratiam, numquam pertingit mens per propriam industriam, LXXIII); e al cospetto dell’estasi muore la ragione umana, come morì Rachele nel dare alla luce Beniamino. Il percorso mistico, anelito di assoluto, sfocia inevitabilmente nella distruzione del soggetto, non secondo la resa disperata del suicidio, ma attraverso la sapienziale negazione del suo mondo di opposizioni.

V

Il nonsense si è rivelato come il punto della massima dispersione e insieme della infinita possibilità del senso, il luogo/non luogo (utopia) della compresenza degli opposti, della negazione delle negazioni, la contestazione stupita delle voci che, pronunciandosi, alludono alla propria scomparsa. Ciò che si fa udire in esso, eco sfocata e indebolita di alcune delle pratiche sopra rammentate, mormora il desiderio nostalgico di libertà e di assoluto che muove e nutre le esperienze estatiche. I giochi del nonsense sfiorano l’intensità di alcune tecniche esoteriche, come la tangente che tocca in un punto la linea curva, partecipando per un attimo della sua perfezione.

Il nonsense non sa cosa c’è al di là del mucchio di suoni spenti, le sue costruzioni virtuosistiche si compiono nel turbamento che, forse, favorirà la nascita della visione senza figura: ma prima che ciò avvenga, esso, propulsore esaurito, ha già cessato di risuonare.

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