Ugo Gervasoni – Le voci dei maestri
Dalla selva oscura
(13 novembre 2015)
Immagini il cortese lettore una serata mite d’autunno, allorché la gente si dispone a celebrare l’inizio delle belle ore di otium che gli ultimi giorni della settimana promettono a chiunque risieda non solo nel nostro paese, ma in tutti gli stati dell’Occidente industrializzato, ore già care fin dall’attesa oltre che nel momento della fruizione; immagini il lettore una città di antico e moderno splendore, di architetture di arti di luci, il tutto reso ancora più affascinante dal dolce fluire delle note della lingua d’oil, che fa la loquela delle giovani donne irresistibile per lo straniero che le interroga; immagini teatri luoghi di ristoro arene sportive in cui lo spettacolo della vita crea magie di suoni di profumi di azioni, tutti tesi alla ricerca e all’offerta della bellezza: queste immagini evocheranno alcuni momenti caratteristici e cari della nostra cultura, non soltanto della nostra civiltà, in cui ci identifichiamo e che intendiamo proteggere e passare ai nostri figli. Ora immagini il nostro lettore (e non sarà, purtroppo, difficile) che questi preparativi per una serena degustazione della vita e dei suoi doni siano improvvisamente e proditoriamente investiti da una sconcia e barbara violenza che in nome del fanatismo più ottuso e imperdonabile azzanna e dilania e distrugge. Invece che armonie di movimenti e geometrie di gioco, muscoli ed ossa squarciati e spezzati dalle esplosioni; al posto del delicato aroma delle salse l’appiccicoso vapore del sangue umano spruzzato e sparso, che lentamente si raffredda sui tavoli e sui pavimenti; rotti gli accordi e le melodie della sala di concerto, per l’aria echeggiano soltanto le detonazioni delle armi da fuoco e le urla delle vittime che non sapevano che le ore di quel fine settimana sarebbero state le ultime della loro vita, perché quei vigliacchi armati avevano tramato, nel buio della clandestinità, quel sacrificio senza significato. Il pensiero si arresta al cospetto di siffatte immagini di oscena crudeltà, vorrebbe non operare, non esistere, così che forse anche quelle potessero scomparire. Ma quanto è successo non può essere disfatto, il pensiero si sente obbligato a sondare il duro spessore di quelle tenebre. Può capitare allora che due figure (colleghi, sodali) si incontrino e si provino di dare sfogo al tormento che ciò che appare inspiegabile fa nascere, nella speranza di un qualche conforto intellettuale, di un poco di luce, chissà. Le chiameremo, queste figure con cui ci intratterremo per qualche tempo, Cisalpino e Frediano: il primo è un poco più anziano del secondo.
C – Canta Eugenio Montale nella poesia “I limoni” di quei momenti privilegiati in cui la mente pare pronta a cogliere il filo da disbrogliare che finalmente ci metta nel mezzo di una verità, allora “indaga accorda disunisce”: ma questo è il momento dell’aura fosca, sembra abbandonare le sue pretese la mente, si accascia. Pare che l’unica reazione che soccorre sia il furore che urge nel petto, la fascinazione del “Grande Vendicatore”, il leggendario John Wayne che è assopito in noi giunge a cavallo, spara a tutti i cattivi, si ristabilisce l’ordine civile, l’ordine morale.
F – Così avverto anch’io il primo impulso, ma poi sorrido mio malgrado e mi sorge dentro la ragione illuminista, la forza che forse saprà rinvenire, tra quei corpi martoriati e l’urlo bianco delle sirene, il sentiero che guida alla comprensione.
C – Provo a seguirti. Insieme con, o accanto o dietro, il radicalismo becero e la matta bestialitade, mi pare di scorgere intrecci nefasti di operazioni criminali, e politiche e finanziarie. Appropriazioni violente, per esempio, di pozzi petroliferi perché si venda il greggio, di nascosto, a chi in pubblico quei terroristi li condanna in vibrati accenti. Donde l’acquisto di armi sempre più potenti, e i venditori hanno certamente due tre quattro volti, uno per ogni operazione da svolgersi in pubblico, gli altri per quelle che il pubblico non deve sospettare.
F – Spingiamo l’occhio fino all’addestramento e alla propaganda, entrambi rivolti alle giovani vite in quanto più malleabili e con minore sforzo. Allettamenti e indottrinamenti che si inseriscono nel vuoto dei valori che è diventato il nostro Occidente. Molti sono attirati dalle sonore retoriche che promettono una vita sottratta al consumo e alla competizione e alla superficialità, così tipici dei nostri modelli di sviluppo. La ragione comincia a discernere un poco di ordine nell’orrore di questo disordine.
C – L’entusiasmo del campo di addestramento è portato al massimo della tensione, soltanto con un atto estremo di violenza potrà essere sfogato. Quale azione più adatta che l’offerta della propria giovane vita all’ordine di morte che proviene dall’alto? Era ritenuto un tempo principio condiviso e sicuro che la propria vita è per ciascuno il valore irrinunciabile, spendibile solo per cause nobili e senza ferire chi non promette aggressioni: ora quella vita, quel giovane corpo, è mezzo di distruzione di altri corpi, di altre vite che sono il Nemico senza specifico volto. Presenza indifferente ma comunque ostile, perché così è comandato. Ombre sinistre del Vecchio della Montagna aleggiano ora nel mio pensiero.
F – Rammento e capisco: faceva il Vegliardo rapire i giovani più arditi che si svegliavano nel suo palazzo dei sogni, ove ogni piacere era alla portata giorno dopo notte dopo giorno in un incanto di paradiso. Poi, quando il momento era giunto, i giovani annebbiati dagli stupefacenti venivano inviati ad assassinare le vittime di quell’Antico. Il termine assassino deriva da hashish. Oggi, invero, il processo è tecnologicamente e politicamente più sofisticato, più diabolico.
C – Prevede di creare e mantenere una netta opposizione, un confronto letale, “noi” contro “loro”, così chiaro e persuasivo per ogni adepto. Chi non è con noi è contro di noi, “Uccidere! Uccidere!” Come non potremmo non rispondere alla sfida? Ma per non cadere nella trappola, insieme con la guerra che pare inevitabile con tale nemico, assolutamente inevitabile, occorre approntare altre strategie di condotta, qui, al nostro interno.
F – E’ la via umile ma irrinunciabile della scuola, dell’istruzione, insieme con quella, pur difficile, dell’integrazione. Finché si emargina lo straniero, si creano nuovi disadattati e sempre rinnovati risentimenti, nemici pericolosi. A chi viene accolto, se veramente accolto, deve essere fatto chiaro l’obbligo dell’apprendimento della lingua del paese novello, unico tramite per la conoscenza della cultura con cui si confronterà. Non sarà la lingua del padrone senza la quale lo schiavo non può che morire, ma usando la quale perde la sua dignità. Dovrà essere lo strumento della mutua comprensione. Diventerà col tempo uno dei suoi diritti, e possessi, più preziosi.
C – Veicola la lingua i valori. Occorrono figure di buona volontà che sappiano come operare: convinzione e competenza, passione e ideologia, per ricordare un titolo che fu caro Pier Paolo Pasolini. Dobbiamo sperare che così accada.
(Il presidente francese parla alla nazione del recente orrore)