George Orwell

Ugo Gervasoni – Le voci dei maestri

George Orwell

George_Orwell

(1903 – 1950)

Verso la fine dell’anno 1936, Eric Arthur Blair (il cui nome di penna è divenuto parte del vocabolario non solo della lingua inglese, ma della cultura internazionale, tanto che in ogni idioma si può parlare di una situazione o di un sistema “orwelliani” sicuri di essere capiti: il romanzo Nineteen Eighty-Four [1984] figura tra le opere letterarie più lette dei nostri tempi), decise di recarsi in Spagna per offrire il proprio aiuto all’esercito repubblicano nella guerra contro le forze falangiste del generale Francisco Franco, che avevano rovesciato il governo eletto dal popolo. La lunga condizione di tragedia che investì la penisola iberica, straziata da episodi pubblici e privati di particolare orrore, quali il bombardamento di Guernica o l’assassinio del poeta granadino Federico García Lorca, causò una risposta internazionale volontaria senza precedenti, con la costituzione di tante Brigate Internazionali, tra le quali si ricorda, ad esempio, l’Abraham Lincoln Battalion formato da combattenti americani.

Eric Arthur Blair, alias George Orwell, univa in sé l’indubbia acribia interpretativa dell’intellettuale di genio e il candore inerme e disarmante di un bimbo: chiese dapprima aiuto, per entrare in Spagna, al segretario del Partito Comunista Inglese, che naturalmente rifiutò, sospettoso, di farsi mallevadore presso i compagni iberici in favore di una personalità di spicco non iscritta al Partito. Si rivolse poi agli uffici del Partito Laburista Indipendente, piccolo gruppo di opposizione dello schieramento della sinistra britannica. [Non bisogna dimenticare, a tanti anni di distanza, che le lotte settarie all’interno del movimento socialista-comunista internazionale erano allora virulente e ferocissime; ancora era viva l’eresia trotskysta, e sfiducia e competizione e odio erano coltivati con dedizione degna di miglior causa.] George Orwell si trovò così a Barcellona, tra i miliziani del POUM (Partido Obrero de Unificación marxista, organizzazione di ispirazione marxista-leninista ma anti-stalinista), esilarato e sconcertato allo stesso tempo da quanto vide e sperimentò nella Caserma Lenin nella quale fu acquartierato:

Ogni straniero di servizio nella milizia passava le prime settimane imparando ad amare gli spagnoli e ad essere esasperato da alcune delle loro caratteristiche. Al fronte la mia esasperazione raggiunse talvolta l’intensità della furia. Gli spagnoli sono bravi in tante cose, ma non nel fare la guerra. Ogni straniero prova sgomento al cospetto della loro inefficienza, soprattutto di fronte alla folle mancanza di puntualità. Il vocabolo spagnolo che nessuno straniero può evitare di apprendere è maňana – “domani” (letteralmente, “l’indomani”). Ogni qual volta sia umanamente possibile, ogni faccenda di oggi è rimandata a maňana.

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(George Orwell con fucile)

Dopo un periodo di sommario addestramento, prima un treno (partito in clamoroso ritardo, naturalmente) poi un autocarro portarono Orwell e altri miliziani al fronte, poco lontano da Saragozza. Qui lo scrittore ebbe modo di conoscere il caratteristico odore della guerra, come ricorda nel suo bel volume Homage to Catalonia (Omaggio alla Catalogna), 1938, “ nella mia esperienza un odore di escrementi e di cibo avariato.” La vita la morte le sortite gli scontri la noia della vita di trincea e le veglie e l’eccitazione, sono raccontate da Orwell con una ricchezza di particolari che copre sia gli eventi esterni che le ripercussioni degli stessi sull’animo e sulla memoria del protagonista che li ha vissuti. Viene ricreato, ad esempio, l’effetto prodotto da una situazione di combattimento in cui il soggetto è costantemente sotto il pericolo del fuoco nemico: Orwell confessa di avere conosciuto la paura, e aggiunge, non tanto la paura di essere colpito, quanto quella, forse più corrosiva, di non sapere dove il corpo avrebbe potuto essere colpito: “Non si sa mai dove il proiettile ti morderà, e ciò crea in tutte le membra una sgradevole sensibilità.”

George Orwell fu, invero, colpito. Accadde una mattina, verso le cinque, un periodo del giorno molto pericoloso, spiega l’autore, perché il sole sorgeva alle spalle della trincea, e la figura umana si delineava chiaramente sullo sfondo del cielo dell’alba. Orwell stava dando ordini alle sentinelle in preparazione del cambio di guardia, quando, nel mezzo di una frase, avvertì qualcosa che non è facile da descrivere:

Fu come sentirsi al centro di una esplosione. Mi sembrò di essere avviluppato da un grande scoppio e da una luce accecante tutt’intorno, ed avvertii una violenta scossa, come una corrente elettrica, insieme con un senso di totale debolezza, la sensazione di essere colpito e come contratto fino a divenire nulla.

Il proiettile aveva perforato il retro del collo, penetrando in un ganglio nervoso che provocò la semi-paralisi delle dita della mano destra, e sfiorò l’arteria. Durante la convalescenza tutti assicurarono lo scrittore che era stato fortunato, molto fortunato, sarebbe bastato lo spostamento di un millimetro e la pallottola sarebbe stata fatale. Con superiore senso dell’umorismo Orwell commentò, “Non potevo fare a meno di pensare che sarei stato decisamente più fortunato se non fossi stato colpito affatto.”

Di ritorno a Barcellona lo scrittore conobbe l’atmosfera delle purghe politiche, allorché i comunisti iniziarono sistematicamente a rastrellare e deportare e a fare sparire i socialisti e gli anarchici. Grazie all’aiuto del console inglese e della moglie, Orwell fu in grado di mettersi in salvo, ma, confessa, uno degli effetti più deprimenti di questa guerra è stato di insegnarmi che la stampa della Sinistra è altrettanto falsa e disonesta che la stampa della Destra.

Chi legge Omaggio alla Catalogna rivive tante delle sensazioni che sono suggerite dalle pagine del romanzo Per chi suona la campana di Ernest Hemingway, che, anch’egli, conobbe di persona le luci e le ombre di quel cupo conflitto civile. Il lettore si chiede, chiusi i due volumi, se c’è differenza tra un resoconto di vita vissuta, in cui chi vive e soffre e si esalta e muore è carne pulsante e mente che “indaga accorda disunisce”, e una storia i cui protagonisti sono frutto di immaginazione. Se l’arte, come credo, è disvelamento della verità della vita, non vi è discordanza di valori tra l’intensa trama narrativa tessuta da Ernest Hemingway e l’appassionata cronaca in prima persona di George Orwell. Tutto è lì, in entrambi i libri, le grandi speranze, le amare delusioni, le luci fallaci delle ideologie, le tenebre della inevitabile ambiguità e della confusione e della crudeltà delle azioni del bipede umano. Pare di sentire l’eco delle terribili parole di un maestro, William Shakespeare, che al termine della tragedia Macbeth fa dire all’eroe che sta per essere sconfitto: La vita non è che un’ombra che cammina, un povero attore / che si pavoneggia e che si agita per la sua ora sul palcoscenico / e poi tace per sempre. E’ una storia / raccontata da un idiota, colma di suoni e di tuoni, / che non significa nulla.

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Alla macchina da scrivere

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