Ugo Gervasoni – Le voci dei maestri
Honoré de Balzac, II
(Balzac visto da Rodin)
Nello splendido periodo di fioritura artistica spagnola, noto come El siglo de oro, che vide la nascita dell’immortale eroe Don Chisciotte, che da allora cavalca per le leggendarie contrade della Mancia e dell’Aragona e della Catalogna in cerca di impossibili avventure in compagnia dell’indimenticabile sodale e improbabile scudiero Sancio Panza, frutti entrambi del genio straordinario di Miguel de Cervantes, una personalità di spicco, soprattutto, ma non soltanto, nel mondo del teatro, fu Lope de Vega: si diceva che avesse composto più di 1.500 commedie, oltre ad autos sacrametali, romanzi, rime sparse, poemi. La sua energia e la sua fecondità furono tali che gli meritarono l’epiteto di monstruo de la naturaleza, “prodigio della natura”. Non solo nell’arte si distinsero questi grandi: se Miguel de Cervantes combatté nella battaglia di Lepanto, Lope de Vega prese parte alla spedizione della Invincibile Armata, la flotta voluta da Filippo II per tentare di sottomettere l’Inghilterra di Elisabetta I, dalla cui disastrosa sconfitta ritornò in circostanze fortunose.
Nei tempi moderni un tale prodigio è sicuramente riconoscibile nella vita e nell’opera di Honoré de Balzac, di cui si è già parlato in questa rubrica in un intervento a cui rimando chi fosse interessato, per qualche essenziale notizia relativa alla quantità e alla varietà della sua produzione narrativa: risultati che, invero, sgomentano.
In questa puntata indirizzo l’attenzione del lettore a due romanzi ambientati a Parigi, che Balzac dedicò allo studio di una categoria di personaggi che tutti possono avere conosciuto, o di cui possono avere sentito parlare, i “parenti poveri”, quelle scialbe presenze apparentemente discrete e umili, talvolta forse bizzarre o senz’altro patetiche, che vivono e soffrono l’ingiustizia della sorte che li ha posti alle periferie delle famiglie influenti e ricche, che con compiacenza distratta o sprezzante li sopportano e li accolgono, relegandoli ai posti estremi delle tavolate. Cosa possa nascondersi di terribile e di implacabile, o di quasi inestinguibile energia di rivalsa, dietro quei visi scipiti e insulsi, l’occhio acuto di Balzac si è qui imposto di indagare.
Tra il 1846 e 1847 lo scrittore concepì e sviluppò le storie della sua Comédie Humaine intitolate La Cousine Bette (La cugina Bette) e Le Cousin Pons (Il cugino Pons): sono i due parenti poveri che si incontrano e si scontrano con il sistema che li attrae e li respinge, dando vita a ricchissimi avvincenti intrecci psicologici e sociali. Nella dedica di La Cousine Bette al principe romano Michele Angelo Cajetani, che del romanziere fu amico e sostenitore, Balzac, dopo essersi definito, con parole di lapidaria perspicuità, “semplice dottore in medicina sociale, il veterinario dei mali incurabili,” chiarisce, sulla soglia delle nuove storie, quali siano le ragioni ultime delle incomprensioni e delle liti che turbano con ineluttabile regolarità l’umana convivenza:
La maggior parte delle dispute umane deriva dal fatto che esistono contemporaneamente sapienti ed ignoranti, fatti in modo tale da non vedere mai che un solo lato delle cose e delle idee; e dal fatto che ognuno pretende che il lato che ha visto è il solo vero, il solo giusto.
Tra le strade di Parigi, che vibrano di vita immortale nelle pagine di Balzac, in ogni loro aspetto dorato o sordido, come solo sa fare risaltare il cuore innamorato della città del narratore nato, l’umanità più varia pensa opera si muove brama complotta, vittima designata delle passioni che non sa né vuole combattere e che la spingono in tutte le direzioni. Il padre di famiglia Hector Hulot, sposato ad una donna delicata e devota e innamorata e avvenente, sperpera patrimoni e reputazione inseguendo qualunque tipo di gonnella, da quella della attrice provocante e astuta, a quella della ambiziosa cortigiana travestita da signora virtuosa, fino agli stracci di una laida sguattera; Valérie Marneffe è un capolavoro di depravazione e civetteria, di spregiudicato opportunismo e di capriccio; Monsieur Crevel è la caricatura dell’anziano arricchito che le moine di una donna senza scrupoli sanno irretire; Madame Camusot è la secca, spietata, invidiosa custode della rispettabilità sociale e del denaro che la sorregge e la giustifica; Madame Cibot è la corpulenta portinaia baffuta che diviene la terribile lady Macbeth del vicolo; il conte polacco Steinbock è l’artista velleitario e mediocre che sa fantasticare ma non creare; l’avvocato Fraisier è il rettile incattivito e velenoso che morderà chiunque tenti di ostacolare la sua ascesa ai gradini più alti della scala sociale. Pons e Schmucke sono l’incarnazione della inettitudine sociale, da un lato, e dall’altro, della bella e sincera amicizia: sono la versione moderna e borghese e tragicomica della famosa coppia virgiliana composta da Eurialo e Niso.
Tutti questi personaggi, ed altri ed altri ancora, creano l’affresco nel quale si muovono la cugina Bette, la zitella senza mezzi e senza bellezza a cui tutti si rivolgono e si confessano perché superficialmente servizievole e innocua, ma che nel cuore e nel cervello cela un astio e un odio inestinguibili, sovrumani; e il cugino Pons, musicista di secondaria grandezza e disprezzato collezionista che, però, ha ammassato una segreta fortuna in opere d’arte. E’ una figura segnata da una pacata bontà e dotata di un proprio senso di impeccabilità morale, ma con la debolezza fatale della ghiottoneria.
Difficilmente si posano i due romanzi, soprattutto dopo che Balzac imprime tensione e velocità narrativa all’intreccio in vista della finale soluzione; le storie provocano compassione, repulsione, appassionata curiosità intellettuale. I tanti aspetti della condizione umana che Balzac scorge e descrive inviteranno probabilmente qualche lettore a seguire l’esempio di Gustave Flaubert, il grande romanziere di poco posteriore a Balzac, che quando gli fu chiesto chi fosse insomma la sua famosa eroina Emma Bovary, rispose, “ Madame Bovary, c’est moi.” Chiudendo i due capolavori, i lettori pensosi confesseranno, anche se a malincuore, che tutta questa umanità poco edificante, mossa dalla sotterranea, divorante passione della cupidigia (che Balzac chiama convoitise), infine, purtroppo, c’est nous.
Una machiavellica cousine Bette Le cousin Pons con l’amico Schmucke