Il Mare

Ugo Gervasoni – Le voci dei maestri

Il Mare

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(nascita e durata inscrutabili)

Antico, sono ubriacato dalla voce

ch’esce dalle tue bocche quando si schiudono

come verdi campane e si ributtano

indietro e si disciolgono.

La casa delle mie estati lontane

t’era accanto, lo sai,

là nel paese dove il sole cuoce

e annuvolano l’aria le zanzare.

Come allora oggi in tua presenza impietro,

mare, ma non più degno

mi credo del solenne ammonimento

del tuo respiro. Tu m’hai detto primo

che il piccino fermento

del mio cuore non era che un momento

del tuo; che mi era in fondo

la tua legge rischiosa: esser vasto e diverso

e insieme fisso:

e svuotarmi così d’ogni lordura

come fai tu che sbatti sulle sponde

tra sugheri alghe asterie

le inutili macerie del tuo abisso.

(Eugenio Montale, Mediterraneo, II movimento)

Le voci del mare hanno ammaliato tanti e tanti artisti: ricordo, senza pretese di compiutezza (dopo la splendida ricreazione del rapporto di un uomo con il mare di Montale, dal suo libro che maggiormente amo Ossi di seppia),  le tempeste di Turner, le onde indifferenti di Bruegel che accolgono il corpo di Icaro cui il sole ha bruciato le ali, il maroso che spinge la zattera di Géricault lontano dalla nave che potrebbe soccorrere i naufraghi, lo scuro blu della marina su cui serpeggia il giallo delle stelle nella tela di Van Gogh. L’uomo e il mare di Baudelaire rivela il legame ascoso tra i due mondi:

Uomo libero, sempre amerai il mare!

Il mare è il tuo specchio; contempli la tua anima

Nell’infinito scorrere delle sue onde,

E non è meno amaro abisso il tuo spirito.

Il romanziere francese Louis-Ferdinand Céline riprodusse il ritmo e l’eco dei flutti che si rilasciano sulla spiaggia in un breve passo di Morte a credito:

Il faro fende la notte… Il lampo passa sul povero diavolo…L’onda sulla spiaggia aspira i ciottoli … si schianta … rotola ancora… si rompe… ritorna… si perde.

Jack Kerouac cercò di trascrivere, seduto nella notte buia in un tratto isolato della costa californiana di Big Sur,  il linguaggio dell’oceano Pacifico. Inserito come appendice del romanzo, il lungo poema inizia con i versi onomatopeici che trascrivo:

Cherson!                                         Cerson!

Cherson!                                        Cerson!

You ain’t just whistling               Sai fare di più che fischiare

Dixie, Sea                                       Dixie, Mare. . .

Cherson! Cherson!                    Cerson! Cerson!

Avviciniamoci anche noi alla distesa strepeante delle acque.

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Quanto più è elusiva, tanto più la voce del mare affascina e incanta chi, fermo sulla molle superfice di una spiaggia, o seduto sugli irti scogli ove si frangono le onde, attento osserva il moto dell’acqua che mai non resta, e si sforza di tradurre nei poveri suoni umani i tonfi i fruscii gli spruzzi il respiro di quell’immensa mole mobile che avanza e si ritira e torna ad avanzare secondo i ritmi del suo eterno accadere.

Sostai un giorno ai piedi delle rocce che formano lo stupendo promontorio di Point Lobos, in California, nel punto riparato di un’ insenatura ove si riposavano le foche: le onde dolci e lente si sfrangiavano soffici ai miei piedi, smuovendo i tanti sassolini arrotondati che ora erano sommersi ora abbandonati dalla corrente, e il sospiro gorgogliante che produceva la risacca era una musica in cui naufraga l’alfabeto.

Similmente in altra occasione, di nuovo sulla costa selvaggia della California, cercai di intendere il possente impeto dell’oceano che nel vento turbinoso lanciava i suoi marosi contro le rocce, e gli schianti rimbombavano in tutto il corpo e le stille di schiuma si alzavano alte e iridescenti nell’aria.

Ricordai che il letterato inglese Edmund Burke aveva scritto nel 1756 che gli immensi spettacoli naturali generano il sentimento del sublime, da lui definito come stupore misto ad un innegabile senso di terrore: ma io mi sentivo piuttosto invaso dalla sovrabbondanza euforica, quasi fosse possibile, in momenti di tale intensa partecipazione con la natura, trasumanare, cioè andare al di là della ordinaria dimensione che ci è concessa, svestirsi della limitatezza della persona e aprirsi alla maestosa bellezza delle cose.

Ma il mezzo per rendere il suono del mare mi sfuggiva: come provarci? Boom splash frshrr vrom tchshsh! Un’approssimazione, perché quello che le orecchie intendevano era altra cosa.

La voce del mare afferra la nostra attenzione e ci conduce fin sulla soglia che separa l’umano dal non-umano, ci dice che il nostro luogo al mondo non è al posto di comando, ma in un angolo più umile e più onesto, confortevole e privilegiato come le stanze ben conservate che riserviamo agli ospiti, e in quanto tali non dovremmo rovinare o sporcare lo spazio che ci si apre d’intorno. Ci dice che ci sono realtà più antiche, più durature, più grandi che tutta la storia dell’uomo, che esse saranno ancora lì, sufficienti a se stesse e altrettanto belle, anche quando l’uomo dovesse scomparire, perché il loro tempo non è quello delle creature che si affrettano verso una meta che è sempre illusoria e accumulano oggetti che hanno la consistenza dei sogni. Ci dice che il nostro lavoro quotidiano dovrebbe essere armonico ritmo della mente e del corpo, indifferente al tornaconto personale, come quella energia che spinge le maree a crescere, e a tempo debito a calare. Ci dice che la saggezza è nel non attendere nulla con ansia e con timore, nell’operare, potremmo dire, senza sentirsi protagonisti. Ecco perché quei suoni non smettono di sedurci.

Ho aperto, dopo avere scritto queste righe, il primo grande romanzo di Thomas Mann, I Buddenbrook, apparso ne 1901. Ho ritrovato un brano di cui ricordavo solo le due parole iniziali, indefinito il resto come le cose che la nebbia sottrae alla nostra vista, eppure sono lì. Ciò che ho riletto, e che qui riporto, mi ha fatto sentire la gioia che ci colma quando capita di incontrare un’anima con cui si può discorrere e comprendersi. Il protagonista del romanzo, Thomas Buddenbrook, giunto all’apice della sua carriera mondana, inizia ad avvertire, ora, sulla spiaggia solitaria, davanti alla distesa maliosa di tutta quell’acqua,  l’inevitabilità della decadenza e della fine, quasi come un indefinito malessere spirituale, non ancora tormentoso, o come un gemito lontano che a malapena si distingue dal sospiro ancora gradevole del vento:

Onde lunghe… – disse Thomas Buddenbrook. – Vengono, s’infrangono, vengono, s’infrangono, l’una dopo l’altra senza fine, senza scopo, solitarie e vagabonde. Eppure il loro moto conforta e rasserena, come le cose semplici e necessarie. Amo il mare sempre di più… forse una volta preferivo la montagna perché era tanto lontana. Adesso non vorrei più andarci. Credo che proverei vergogna e paura. E’ troppo capricciosa, troppo irregolare, troppo varia… certo mi sentirei in condizioni d’inferiorità. Quali sono gli uomini che preferiscono la monotonia del mare? Sono quelli, mi sembra, che hanno scrutato troppo a lungo, troppo profondamente nel groviglio delle cose interiori per non chiedere almeno a quelle esteriori una cosa soprattutto: la semplicità… Non è il fatto che in montagna ci si debba arrampicare coraggiosamente, mentre al mare si sta placidamente sdraiati sulla sabbia. Ma io conosco il diverso sguardo degli appassionati dell’una e dell’altro. Occhi sicuri, audaci, giocondi, pieni di iniziativa, di coraggio e di risolutezza errano di vetta in vetta; ma sulla vastità del mare che con mistico e snervante fatalismo rovescia sulla spiaggia le sue onde, si posa uno sguardo sognante, velato, disincantato e pieno di saggezza, che è già penetrato profondamente in qualche intrico doloroso. Salute e malattia: ecco la differenza. Ci si inerpica arditi nella meravigliosa molteplicità delle vette dentate, frastagliate, dirupate per mettere alla prova un’energia vitale non ancora spesa. Ma si cerca riposo nella vasta semplicità delle cose esteriori, stanchi come si è della confusione di quelle intime. (tr. it. di Anita Rho)

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Un aspetto dell’Oceano Pacifico

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Una risposta a Il Mare

  1. Sonia scrive:

    Fantastico. Sempre un piacere passare di qui e leggere i suoi pensieri!

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