Ugo Gervasoni – Le voci dei maestri
I luoghi e l’arte
Nel suo dialogo platonico, La decadenza della menzogna, scritto nel 1889, Oscar Wilde sostenne, nel suo inimitabile stile brillante e provocatorio, che la Vita imita l’Arte molto più di quanto l’Arte imiti la Vita. Considerando poi i rapporti tra la Natura e l’Arte, Wilde continuava dicendo che la natura è una nostra creazione, come la vediamo dipende da ciò che l’arte ci ha insegnato: per secoli ci furono nebbie a Londra, ma la gente ha imparato a vederle non perché sono lì, ma perché i poeti e i pittori le hanno svelato la sua misteriosa bellezza. Dopo l’iniziale sorpresa a causa dell’inaspettato stravolgimento di un’antica sentenza della tradizione classica, secondo la quale era invero l’arte che imitava la natura, forse capita a qualche lettore di meditare quelle parole e di convincersi quindi che Wilde, anche in questo caso, ha ragione: non perché montagne e laghi e boschi si uniformino all’immagine che pittori e scrittori hanno loro donato, ma perché l’occhio dell’artista sa cogliere l’essenza intima di un paesaggio, la sa poi comunicare nel modo e con lo strumento migliore, e da quel momento l’aspetto vero di un luogo non potrà che mostrarsi nei dettagli catturati dalla sensibilità del genio. Così potrà capitare di passare davanti al monte St. Victoire, nella Provenza, ripetutamente ricreato sulla tela dal pittore francese Paul Cézanne, e percepirlo proprio secondo le modalità compositive e coloristiche scelte e portate a perfezione da quel sommo. La prima, sconcertante impressione è che la montagna imiti i quadri di Cézanne.
Il lago di Como si allunga tra Gera-Lario a nord e Como a sud per circa cinquanta chilometri, incurvandosi sinuoso e profondo tra alti declivi che ora espongono la nuda roccia ora si ornano di piacevolissima verzura. Ad un certo punto il maschio promontorio di Bellagio si erge tetragono all’erosione e obbliga la massa dell’acqua a dividersi in due rami, ad occidente il ramo di Como, ad oriente quello di Lecco, formando una inconfondibile biforcazione. Chiunque sosti ad ammirare questi due bracci di suggestiva bellezza, non può fare a meno di rammentare, mentre l’occhio scivola sull’acqua appena increspata dalla brezza o percorsa da spumeggianti onde spinte da più forti turbolenze dell’aria, le parole di chi, meglio di chiunque altro, ne intese il fascino. Immaginiamo di scorgere un viottolo che si apre a mezza costa di un erto pendio, raggiunto dopo avere con un poco di fatica risalito un bel tratto di scalinata per portarci, tra salti e curve tortuose, al di sopra del borgo dove abbiamo lasciato l’auto. Il viottolo ci invita a percorrerlo. Dopo pochi passi, non ci sarà possibile non ricordare le strade e stradette, più o men ripide, o piane; ogni tanto affondate, sepolte tra due muri, donde, alzando lo sguardo, non iscoprite che un pezzo di cielo e qualche vetta di monte. Sono i dolci ritmi che Alessandro Manzoni intona nella prima pagina del suo capolavoro. Più oltre, quando la reminiscenza letteraria si sarà ormai disciolta e come fusa con la leggiadria di ciò che ci circonda, saremo sorpresi dalla facilità e naturalezza con cui ripeteremo anche altri passi dell’inizio de I Promessi Sposi, per esempio:
Il luogo stesso da dove contemplate que’ vari spettacoli, vi fa spettacolo da ogni parte: il monte di cui passeggiate le falde, vi svolge, al di sopra, d’intorno, le sue cime e le balze, distinte, rilevate, mutabili quasi a ogni passo, aprendosi e contornandosi in gioghi ciò che v’era sembrato prima un sol giogo, e comparendo in vetta ciò che poco innanzi vi si rappresentava sulla costa: e l’ameno, il domestico di quelle falde tempera gradevolmente il selvaggio, e orna vie più il magnifico dell’ altre vedute.
L’armonioso intrecciarsi di percezione e di memoria rende più intensa la nostra esperienza e opera il miracolo per cui il momento che stiamo vivendo non svanirà come un frammento di tempo slegato dagli altri che verranno, destinato a cancellarsi sprofondando nella voragine senza fondo formata da tutto ciò che passa, come l’acqua di questo fiume che ci scorre ora sul corpo e che tosto si perderà nel mare indistinto, ma si fisserà formando lo stampo caratteristico della nostra comprensione del mondo, che sempre tornerà ad operare, presente e vivo, ogni volta che simili momenti si creeranno per noi. Rivedendo il restringersi del lago dove esso ridiventa fiume subito dopo il Ponte Vecchio di Lecco, per poi allargarsi subito quasi a formare un altro specchio d’acqua, sentiremo sorgere alla mente, ancora e ancora, le parole di Manzoni, che faranno più concreta, più sensuale, più vera e, insomma, indimenticabile la nostra sensazione:
Quel ramo del lago di Como, che volge a mezzogiorno, tra due catene non interrotte di monti, tutto a seni e a golfi, a seconda dello sporgere e del rientrare di quelli, vien, quasi a un tratto, a ristringersi, e a prender corso e figura di fiume, tra un promontorio a destra, e un’ampia costiera dall’altra parte; e il ponte, che ivi congiunge le due rive, par che renda ancor più sensibile all’occhio questa trasformazione, e segni il punto in cui il lago cessa, e l’Adda ricomincia, per ripigliar poi nome di lago dove le rive, allontanandosi di nuovo, lascian l’acqua distendersi e rallentarsi in nuovi golfi e in nuovi seni.
Il ramo del lago che digrada verso Como è stato definitivamente fissato nella nostra immaginazione da alcune stupende pagine del romanziere francese Stendhal. Salendo verso Griante (Grianta, secondo la scelta toponomastica di Stendhal), provenendo dal borgo costiero di Cadenabbia, il viandante non può non vedere ed amare ciò che Stendhal colse quando scrisse La Certosa di Parma, portata a termine nel tempo di Natale del 1838, ovvero la lussureggiante ricchezza della natura tuttora non assoggettata allo sfruttamento umano, libera di produrre i suoi castagni e ciliegi selvatici e faggi e platani senza pensiero di guadagno che li deturpi, creando scorci di bellezza unica e senza schemi, tutti questi luoghi incantevoli vicini a Grianta, così celebrati dai viaggiatori … Tutto è nobile e gentile, tutto parla di amore, nulla ricorda la bruttezza della civiltà. Procedendo da Cernobbio ad Argegno a Tremezzo a Menaggio, si intende l’anima di quel braccio di acqua lacustre, proprio nei termini usati da Stendhal allorché scrisse di
quell’ardito promontorio che separa i due rami del lago, quello di Como, così sensuale (voluptueuse), e quello che corre verso Lecco, pieno di severità; aspetti sublimi e pieni di grazia, che il luogo più celebrato del mondo, la baia di Napoli, eguaglia ma non supera.
Allora si comprende, senza più nutrire dubbi, che la Natura imita l’Arte, perché è l’Arte che sa compiutamente intendere e comunicare i segreti della Natura.