Jonathan Swift

Ugo Gervasoni – Le voci dei maestri

Jonathan Swift

swift young

(1667 – 1745)

Nell’ultimo capitolo del quarto libro dei Viaggi di Gulliver, nel quale si conclude in modo spietato e definitivo la più amara anatomia della natura umana che sia mai stata tentata in campo letterario, il capitano Lemuel Gulliver, ritornato in patria dal paese degli Houyhnhnm, i saggi cavalli che, uniche creature al mondo, hanno saputo creare una società che vive e prospera seguendo le cristalline leggi della ragione, si rivolge al lettore e protesta la sua completa onestà di intenti: il libro che stiamo per chiudere narra di viaggi e di personaggi e di civiltà che corrispondono a verità, mai l’autore si è discostato dalla più stretta fedeltà a ciò che è autentico e originale e degno di fede. Anzi, a chi ha scritto quei Viaggi, nulla è più alieno della menzogna, soprattutto dopo avere vissuto per diversi anni presso quei superiori animali che neppure conoscono un termine per riferirsi alla falsità: il linguaggio essendo sorto per dare evidenza al pensiero, per condividerlo, la ragione non ammette modi per mascherarlo o intorbidarlo. Quando Gulliver sembrava raccontare cose non credibili, i cavalli lo accusavano di dire la cosa che non era, straordinaria perifrasi per accennare alla, per loro, inaudita menzogna.

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La preoccupazione di risultare davvero attendibile, spinge Gulliver a citare due versi dal secondo libro dell’Eneide di Virgilio, “nec si miserum Fortuna Sinonem / Finxit, vanum etiam, mendacemque improba finget. / Se la Fortuna rese Sinone infelice, / quella perfida non lo renderà però millantatore e bugiardo.” Il greco Sinone fu l’unico soldato lasciato dall’esercito acheo, che aveva finto di abbandonare la pianura davanti ad Troia, presso il gigantesco cavallo di legno. Il suo compito era di convincere, abilissimo simulatore, i troiani a trasportare quella costruzione all’interno della città, perché potesse infine essere conquistata e rasa al suolo. Sinone, dunque, era esperto nel dire la cosa che non era: lo ritroveremo nell’ultima fossa di Malebolge, al fondo dell’Inferno dantesco, ove darà vita ad una baruffa piuttosto triviale col falsario maestro Adamo, nella quale Dante si lascerà talmente invischiare da provocare il più stizzito rimprovero di Virgilio nei suoi confronti.

Jonathan Swift, dalla ineccepibile formazione classica, invoca Sinone per garantire della veridicità del racconto del suo eroe. Sospettiamo un tocco di malizia, addirittura un’impertinenza. Eppure le parole di Gulliver, in ognuno dei suoi fantastici viaggi, risuonano vere e convincenti nell’intimo della nostra memoria. A questo punto la possibile spiegazione si affaccia: la citazione virgiliana è un esempio di antifrasi. I Viaggi di Gulliver sono invero uno dei libri più sinceri della letteratura universale, ma le verità che vi vengono esposte sono talmente sconvolgenti che l’autore è stato costretto a dare loro una veste immaginaria, perché potessero essere accolte dalle nostre orecchie.

Nel corso delle sue peregrinazioni nella terra di Lilliput, poi nella terra dei giganti di Brobdingnag, in seguito tra i dissennati matematici e scienziati di Laputa e Balnibarbi, infine ospitato dai nobili Houyhnhnm, seppure umiliato dalla innegabile somiglianza tra la sua persona e la razza rivoltante degli Yahoo, ovvero il grado zero dell’umanità, ridotta allo stato più belluino e sudicio e malvagio, Lemuel Gulliver scopre che la natura dell’uomo occidentale, che si accinge, sfruttando il suo progresso tecnologico, a colonizzare tutto il pianeta, è depravata, senza possibilità alcuna di redenzione. Ogni volta che l’ingegnoso viaggiatore cerca di cantare le magnifiche sorti e progressive della nostra Europa, il suo ben intenzionato elogio si trasforma in impietoso atto di accusa. La conclusione più sconcertante sul valore della stirpe degli uomini è nelle parole che il buon re di Brobdingnag rivolge al suo piccolo amico, carezzandolo gentilmente, dopo che Gulliver ha terminato il suo sperato, e fallito, panegirico:

Hai ben provato che l’ignoranza, l’accidia e il vizio sono gli unici ingredienti che servono a fare un legislatore. Che le leggi sono interpretate e impiegate al meglio da coloro il cui unico interesse è di traviarle ed eluderle. Discerno tra di voi alcuni tratti di una istituzione che in origine avrebbe potuto essere tollerabile, ma come sbiaditi, deturpati e scancellati dalla corruzione. Da ciò che hai detto non segue che sia necessaria alcuna perfezione tra di voi per ottenere un pubblico incarico; neppure che gli uomini acquisiscano la nobiltà in seguito alla pratica della virtù, che i sacerdoti si distinguano per zelo e sapere, i soldati per il coraggio, i magistrati per l’integrità, i senatori per l’amor di patria, i consiglieri per la saggezza. Poiché tu hai passato la maggior parte della tua vita viaggiando, sono propenso a sperare che tu ti sia liberato di tante pecche del tuo paese. Ma da quanto ho appreso dal tuo racconto, e dalle spiegazioni che a fatica ti ho estorto, non posso che concludere che la maggioranza dei tuoi simili è la più nociva razza di parassiti cui la Natura abbia permesso di strisciare sulla superficie della terra.

I viaggi di Gulliver non è un libro per bambini: i temi affrontati, le ossessioni confessate per le inevitabili sgradevoli funzioni fisiologiche che ritmano le nostre vite, la acuta disanima dei vari sistemi di aggregazione umana, richiedono una mente adulta ed equilibrata e aperta all’ascolto. Se si concede tutto ciò, in cambio questa opera allarga i nostri orizzonti interpretativi, fornisce spunti per ripetute riflessioni, ci dona il fascino dei mondi immaginari, e in molti capitoli ci intrattiene divertendoci. La statura dei lillipuziani, unita alla loro boria, ci permetterà di considerare con più leggero distacco i nostri crucci e le nostre pretese; la bestiale lordura degli Yahoo ci inviterà ad un maggiore rispetto per la nostra e l’altrui persona. Sono molti i passi del libro che ci vedranno assorti e sorridenti.

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La vita di Jonathan Swift non fu facile: oltre ai disinganni e alle ingiurie cui non sfuggì, e che non può non subire chi è dotato di uno sguardo più acuto, soffrì di severe patologie che minarono la sua salute mentale. Ora riposa nella cattedrale di San Patrizio, a Dublino. Scrisse lui stesso l’epitaffio in latino che è posto sopra la sua tomba, sulla parete a destra dell’ingresso:

Qui giace il corpo di

Jonathan Swift, dottore in sacra teologia

Decano di questa Cattedrale,

Ove l’implacabile sdegno

Finalmente non lacererà più

Il suo cuore.

Va’ in pace, Viandante,

E imita, se puoi,

Questo Campione della Libertà

Che per essa si batté con tutte le sue forze.

Altra mano ha aggiunto:

Morì il 19° giorno del mese di ottobre

A. D. 1745, nel 78° anno d’età.

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