Vincent Van Gogh

Ugo Gervasoni – Le voci dei maestri

Vincent Van Gogh

van gogh toulouse

l’artista visto da Toulouse-Lautrec

(1853 – 1890)

I quadri di Vincent Van Gogh non lasciano indifferente lo spettatore, e forse non è difficile scoprire la forza che li sorregge. E’ come se quelle pennellate pastose di colore indimenticabile, stese sulla tela in modo da creare rilievi sinuosi o a incastro geometrico, non aggiungessero strati estranei al tessuto della vita, ma al contrario ne levassero la crosta, mettendo a nudo la pulsante tessitura sottostante, quasi muscoli che fremono all’aria dopo che la pelle è stata rimossa. Ma a differenza della tortura, qui pare che sia raggiunto e trionfi il contatto bello con l’essenza, ben lungi dal compiacimento morboso per la sofferenza.

La passione e la dedizione di Van Gogh per l’arte lo conducono al punto in cui la forza della luce (cioè i colori), non più velata, lo guida verso risultati che solo a lui sono stati permessi in quella guisa potente. La sua è la sfavillante luce che sorge dalle tenebre, la stessa in cui si aprono e si consumano le visioni dei profeti e dei mistici, quella che compie i miracoli visivi che da qualche anno il telescopio spaziale Hubble cattura e invia a terra, fantasmagorie gonfie di corrusca energia, sullo sfondo impassibile delle profondità del cosmo. In seguito a lunga e solitaria disciplina, Van Gogh apprese a vedere. L’opacità del mondo si sciolse ai suoi occhi, e nuovi rapporti e armonie di luci e ombre e spazio vennero a posarsi sui suoi quadri.

La sua concezione di artefice è rivelatoria: si considerava artista, scriveva al fratello Theo nel 1882, “perché, naturalmente, un significato aggiunto di questa parola è ‘sempre alla ricerca, senza mai trovare.’ E’ precisamente il contrario del dire: ‘Sì, ho trovato!’” Pare di udire l’eco, seppure con netto aumento della tonalità drammatica, delle parole di Socrate, nell’Atene del quinto-quarto secolo prima di Cristo, allorché impavido ribadiva nell’agorà, “So di non sapere,” e si sforzava di convincere i concittadini che questa condizione di nescienza è comune a tutti, solo non lo comprendiamo per paura o per falso pudore. Socrate fu condannato a bere la cicuta per quello che venne considerato traviamento della gioventù; Van Gogh morì in solitudine e povertà, in seguito a una ferita all’addome inflittasi da sé.

Ingiustizia ulteriore e amara, nel caso di Van Gogh, è che la sua produzione, tutta senza eccezioni, è divenuta fenomeno di demoniaca adorazione, di obbligata meraviglia, occasione per un mercato che smuove somme di denaro impronunciabili per qualche ritrovata opera che l’angosciato pittore compose nell’indifferenza di chi lo circondava. Spero che a Vincent ciò risulti del tutto indifferente.

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Rivisitiamo alcune sue opere come se camminassimo lungo le pareti di una stanza in cui l’artista, uscito forse per fumare la pipa, ha lasciato alcune tele, nudamente appese senza il decoro delle cornici. Ecco Il caffè di notte, in cui figure che si discernono umane stanno in piedi o sedute, inattive, in un locale bagnato di verdi e di gialli; al centro è un tavolo da biliardo, in fondo un bancone con bottiglie e vaso di fiori. Non si muove nulla. Le lampade che pendono dal soffitto creano aloni di luce sfocati,come si rivelano agli occhi quando sono stanchi, o miopi. “Nel mio quadro,” scrisse l’artista al fratello Theo, “ho cercato di esprimere l’idea che il caffè è un posto dove ci si può rovinare, diventar pazzi, commettere dei crimini. Inoltre ho cercato di esprimere la potenza tenebrosa quasi di un mattatoio, con dei contrasti tra il rosa tenero e il rosso sangue e feccia di vino, tra il verdino Luigi XV e il Veronese, con i verdi gialli e i verdi blu intensi, tutto ciò in un’atmosfera di una fornace infernale di zolfo pallido. E pur tuttavia sotto un’apparente levità giapponese e una bonomia alla Tartarin.” La notte stellata è dominata dalle incredibili spirali delle stelle giganti, che creano correnti nel cielo come fiumi turbinosi di brillantezza esuberante, un’eternità di energia in movimento che non può che donare se stessa, traboccante generosa divinità. La camera da letto ad Arles è illuminata dal sole del meridione, col massiccio letto di legno in primo piano: ci affascinano le linee prospettiche distorte che paiono giocare con gli azzurri riposanti delle pareti. I colori e le forme della Sedia di Vincent, dei Quattordici girasoli in un vaso, del Campo di grano con un falciatore, del Campo di grano sotto la tempesta, sono familiari forse a tutti.

van gogh, libri

L’occhio si posa su un quadro meno noto: è una Natura morta con libri, in cui il giallo senape e il verde squillante, stesi con colpi decisi di spatola, accanto a sapienti macchie di grigio, di ocra e ad un sorprendente intreccio di tratti decisi di tenero rosa sulla superficie del tavolo, creano volumi dalle gualcite copertine, confusamente ammassati su un tavolo. Sono le letture di Van Gogh, pensiamo, opere aperte e lette con speranzosa avidità, chiuse improvvisamente in un impeto di eccitazione o di sconforto, riaperte poi e compulsate per ricominciare la sua ricerca, per estrarre la forza e la disciplina necessarie alla sua arte. Con quanta curiosa attenzione volteremmo anche noi quelle pagine, per carpire qualche frammento di quella straordinaria personalità, per sentirci ad essa più vicini. Ci sovviene un’altra osservazione che scrisse al fratello: “Per me non c’è differenza tra i libri, la realtà e l’arte. Qualcuno che fosse staccato dalla realtà della vita mi annoierebbe, mentre qualcuno che si trova proprio nel mezzo sente e sa con naturalezza.”

Ho visitato il chiostro Saint-Paul a Saint-Rémy-de-Provence, e sono entrato nella stanza al primo piano dove Vincent visse per un anno cercando l’impossibile cura che gli cancellasse il disequilibrio interno, quel tormento che era, purtroppo, indispensabile alle sue creazioni. Senza quella ferita non si sarebbe riconosciuto come artista. In sua memoria ed in suo onore il cortile interno esplodeva, sotto il sole di luglio, negli azzurri morbidi e fascinosi della lavanda e nei gialli caldi dei girasoli.

st paul st rémy

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