Sulla soglia

Le voci dei maestri

Ugo Gervasoni

Le voci dei maestri

Se la parola non tratta di cose reali e non ne suscita, a che serve? Vale forse più dell’abbaiare dei cani, di notte, nel villaggio?

A.     Solženicyin, Arcipelago GULag

Sulla soglia

   porta leoni

Lettore,  stai per essere invitato ad alcuni incontri che potrebbero rivelarsi importanti per la tua esperienza. Forse sei rimasto colpito dal titolo di questa nuova rubrica, “Le voci dei maestri”. Forse ti ha pure provocato una reazione negativa: maestri? Ne ho abbastanza di quelli che sopporto, o ho sopportato, sui banchi della scuola!

Aspetta a chiudere questa finestra, lettore. Non ti ruberò molto tempo. Se non ti convincerò, non avrai perduto nulla, perché comunque questi pochi minuti ti avranno permesso di riflettere su alcune questioni. Fatica non inutile.

Cosa voglio proporti, allora?

Uno spazio in cui tu possa approfondire la conoscenza di te e del mondo.

Forse cominci a sperimentare un leggero senso di curiosità. Se non altro ti pare di avere compreso che non ci saranno obblighi o scadenze o, peggio ancora, momenti di verifica. La conoscenza di sé non è merce da scartare senza almeno contrattare un poco.

Potresti però rispondere: so benissimo chi sono; mi piace fare questo o quello, e detesto spendere tempo ed energie in altre cose che so bene identificare.

D’accordo. Ma come ti sono nate simpatie ed antipatie? Sei sicuro che, almeno in parte, non dipendano da una certa dose di luoghi comuni, da quella che può essere chiamata eterodirezione? Tra parentesi, sei certo di intendere bene il significato da questo termine, “eterodirezione”?

Se deciderai di passare un po’ di tempo a leggere i testi che troverai qui, scoprirai un invito ad approfondire il rapporto con la lingua di cui ti servi ogni giorno, che forse, avrai notato, non sempre sei in grado di usare al meglio per esprimere quello che veramente senti. Ti è capitato di sentire disagio, o sconforto, o sotterranea noia esistenziale, e non ti è riuscito di comunicare questi momenti con tua piena soddisfazione; ti è scappato dalle labbra talvolta solo lo sfogo, “non sto tanto bene, non so cosa ho, lasciatemi in pace.” Questo ha creato sorpresa nei tuoi interlocutori, ulteriore disagio in te.

Queste pagine ti promettono aiuto anche in queste occasioni; progressivamente ti convincerai che usare bene la lingua rende il mondo, quello in cui tu vivi, migliore.

Consideriamo alcuni punti di questo mondo insieme.

La caratteristica saliente del nostro tempo è la complessità. Il sapere è sempre più diversificato in compartimenti tra di loro difficilmente comunicanti (è arduo per un letterato seguire le argomentazioni di un fisico, e viceversa); l’organizzazione sociale, politica ed economica è tale che lo scompenso finanziario e di potere in un paese che a volte si fa fatica a localizzare sulla carta geografica si ripercuote ad alta velocità fin fuori della porta di casa; l’individuo è una serie di strati di coscienza non di rado in equilibrio precario l’uno con l’altro. L’uomo contemporaneo sperimenta diversi stati di perplessità e si isola spesso nell’attività immediata che sente come proprio unico dovere sociale e familiare.

La complessità genera solitudine. Sempre più gli uomini della nostra società sono simili a monadi che vagano nello spazio pur condividendo gli stessi luoghi, pur mescolandosi in tante celebrazioni di massa. Ma queste non annullano l’isolamento, solo affollano le monadi l’una addosso all’altra, comprimendo lo spazio fisico. Ne fa fede la ressa degli stadi, delle autostrade, delle pubbliche manifestazioni. L’equilibrio tra le monadi diviene difficile, l’indifferenza cede senz’altro all’ostilità.

L’uomo contemporaneo, peraltro, si vuole il più informato sul mondo e su ciò che vi avviene: i mezzi di comunicazione al suo servizio ne puntellano l’orgoglio. Informazione dopotutto, è sinonimo di conoscenza, quindi di completezza di formazione e di giudizio.

E’ davvero così?

L’informazione che ci raggiunge dai notiziari parcellizza il mondo in sequenze irrelate: non ne  scaturisce una visione armonica del tutto, ma sempre in primo piano baluginano frammenti su cui l’attenzione dello spettatore è guidata senza possibilità di confronto; questa informazione non risponde ad un bisogno essenziale del soggetto, che anzi è da essa distratto e avvolto da inevitabile sopore; è dubbio che  segno di maturità personale sia il continuo aggiornamento su ciò che una fonte esterna pensa sia il nostro primario centro di interesse. Questa informazione che si nutre del proprio moltiplicarsi, invade lo spazio personale, spinge alla ricerca del sensazionale, vuole convincere che solo ciò che è nuovo è degno di interesse. Si ottunde, invero, il senso critico.

Risultato di questa pratica quotidiana è che le parole divengono contenitori sempre più vaghi, dipendono dalla moda del momento e dall’umore della fonte. Pensare con continuità e con rigore diviene difficile.

E’ nel  momento che la lingua non è più curata, quando si snoda sciatta tra la carta stampata e le onde sonore o di altra natura, quando sfuma in segnale sempre più tipizzato, che le cose cominciano ad andare male. Lo sguardo dell’uomo perde di acutezza, si sfoca, rischia di spegnersi. E’ il momento il cui la voce dei maestri soccorre.

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E’ la voce di coloro per cui il mezzo espressivo (segno, suono, colore) è tecnica raffinata al servizio di un messaggio chiaro, preciso, quindi morale. E’ l’esempio di chi ci rammenta che l’etica non è una lista di comandi e di divieti, ma è la pulizia della mente che genera intenti puri, forza individuale che diviene bene sociale. Il mezzo espressivo adeguato è il correlativo  del retto sentire, che vede sé stesso e il mondo con occhi non appannati: la cura spesa nel capire la propria individualità, nel coltivarla, nell’esprimerla, è la forza che, insieme con quella degli altri  individui, costruisce una nazione sana, perché  morale al grado sommo è la cura del veicolo espressivo.

Dante:  A pensieri eccellenti converrà lingua eccellente.

Ezra Pound: I buoni scrittori sono coloro che mantengono il linguaggio efficiente. Cioè accurato, chiaro…Il linguaggio è il principale mezzo di comunicazione umana… se la letteratura di una nazione declina, la nazione si atrofizza e decade.

Questo i maestri sanno insegnare a chi porga orecchio.

Questo è ciò che si desidera perseguire in queste pagine, che invitano ad ascoltare voci tra loro diverse, ma nelle quali risuona il timbro autentico che si fatica a distinguere altrove.

A completare queste note, lettore, ti confiderò che questo è il risultato che favoriscono le opere  che sono etichettate come “classici”, parola che forse non ami. Ti darò la mia definizione: un “classico” è un testo che, apparentemente aperto alla tua lettura, invero legge te che ne scorri le sue parti, ti racconta aspetti di te che sono tanto intimi e importanti che ne parleresti solo con l’amico più fidato, ti dice che quello che provi non è insolito o bizzarro o inaccettabile, e ti fornisce i mezzi per intenderlo e per esprimerlo. Non è dono di poco conto. Non solo, un “classico” non è mai noioso.

Lettore, se ora sei convinto che vale la pena di passare un poco di tempo insieme, se ti senti pronto, possiamo incominciare. A scadenze regolari troverai una voce nuova che ti parlerà nel suo tono particolare, che ti comunicherà i suoi pensieri, le sue scoperte, le sue creazioni, le sue interpretazioni dell’avventura umana e dei suoi sogni, che darà forma a qualcosa di bello che potrai condividere.

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